A ribaltare clamorosamente il pregiudizio, radicato maggiormente nella provincia italiana e nel centro sud in particolar modo, sulla scarsa capacità intellettiva delle donne, basta la figura e l’opera della naturalista terracinese Elisabetta Fiorini.
Essa fu e rimane l’esempio più illuminante del fatto che la cultura non conosce sesso e che dunque non va posta in questo senso alcuna discriminazione educativa e di rapporto, tanto nel privato quanto nel sociale.
Se poi si considera che la Fiorini operò all’interno di una struttura societaria e familiare di tipo patriarcale fortemente gerarchizzata , in cui il ruolo della donna era totalmente subalterno, indipendentemente dalla classe di appartenenza, tanto più essa e l’opera sua ci appare imponente e d’eccezione.
Se si aggiunge infine che, allargando lo sguardo indietro di qualche secolo, per ragioni storiche oggettive, quali la mancanza d’istituzioni scolastiche e culturali, laiche o religiose, aggravata dell’inerzia propria dei paesi malarici, si consolidò un basso livello intellettuale che non portò nessun terracinese a distinguersi nel campo delle lettere, delle scienze o delle arti, né che abbia conosciuto gradi eminenti nella vita politica, militare e giuridica, possiamo affermare che la straordinarietà della figura di Elisabetta Fiorini, che seppe invece raggiungere la fama di grande botanica in un’epoca nella quale le donne, e non solo, anche delle migliori famiglie, non sempre sapevano leggere e scrivere.
Il padre di Elisabetta, Giuseppe, sposato a Teresa Scirocchi, apparteneva a famiglia facoltosa, e il nonno Luca Fiorini consegnò le chiavi della città nelle mani di Pio VI, quando questi venne la prima volta a Terracina nell’aprile del 1870.
Elisabetta nacque a Terracina il 3 giugno 1799 e dimostrò fina dai primi anni attitudine particolare agli studi, e in seguito specialmente per quelli scientifici.
Recatasi a Roma, ebbe come maestri i due noti naturalisti G. Brocchi ed E. Mauri. Il 20 settembre 1829 sposò il conte Luca Mazzanti ed ebbe due figli, disgraziatamente premorti alla madre.
A Roma, dove comunemente dimorò e dove morì il 23 aprile 1880, si dedicò alle ricerche sulla flora romana, raccogliendo vaste collezioni conservate in gran parte negli erbari dell’Istituto Botanico Romano.
La sua attività scientifica la rese ben presto nota e molti istituti italiani e stranieri si onorarono di averla come socia.
Lo fu, infatti, dell’Accademia di Agricoltura di Bruxelles, dell’Accademia Agraria di Pesaro, della Regia Accademia di Scienze di Torino, dell’Accademia dell’Arcadia, dell’Accademia Economica – Agraria di Georgofili di Firenze e della Società Medico – Fisica Fiorentina.
Fu socia ordinaria dell’Accademia Leopoldina di Dresda da cui ebbe diploma speciale.
La produzione scientifica della Fiorini, dedicata particolarmente alla microflora del Lazio, è molto vasta, e oltre 17 sono i titoli delle sue principali pubblicazioni.
Fu ricordata onorevolmente dal botanico francese Montagne nelle sue “Sylloge” e dal biologo di Halle, Carlo Muller, nell’Enciclopedia Treccani alla voce “Fiorini Elisabetta”, ed ebbe perfino riconoscimento negli atti ufficiali dello Stato, poiché la “Gazzetta Ufficiale del 23.4.79 la definì una delle più insigni cultrici di scienze naturali che vantasse il secolo.
L’atto di riconoscimento infine, che Elisabetta certamente più di tutti apprezzò, lo fece il “Parlamento della Flora Italiana” dedicandogli il genere “Florinia”, a significazione dell’unicità e singolarità della sua opera di scienziata.
Anche per questa figlia tanto illustre, Terracina ha fatto poco, e meno ancora hanno fatto le donne: “l’aurea mediocritas” nonostante tutto ci sommerge ancora.
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