La chiesa più bella, più umana, più cristiana di Terracina è anche la più offesa, la più dimenticata, la più vilipesa.
Esito felicissimo dell’architettura fossanoviana, sarebbe piaciuto a Bernardo di Chiaravalle “il cistercense”, colui che voleva le “pareti nude”, le “officine per pregare”, poiché con l’arte la chiesa rubava ricchezza ai poveri.
Sarebbe piaciuta, così rigorosamente aderente alla logica degli ordini mendicanti, a Francesco d’Assisi, lo spirito più potente del medioevo.
E sarebbe oltremodo piaciuta, perché perfettamente in linea con la sua regola austera, a Benedetto da Norcia, padre di tutti i movimenti monastici europei.
Uno spazio creato non dall’immersione nel corpo vivo del mondo, dalla sua fisicità fenomenica, ma quale alto significato mentale, pura costruzione logica e matematica.
Una “forma altra”, dunque emanazione essenziale della ragione, concretizzazione di un pensiero totale sulla natura definito e controllato dalla “linea”.
Chiusi da pareti lisce e compatte, prive di qualsiasi stimolo emotivo, nacquero così gli spazi tagliati da lame di luce, tramati di ombre, intessuti di ritmi che si rincorrono come in una densa musica evocativa, serrati infine da una profonda dimensione simbolica.
A S. Domenico come a Fossanova, si esprime possente l’identificazione spazio/luce/Dio, tema base di tutta l’architettura gotica e novità assoluta sulla scena dell’arte europea.
A S. Domenico come a Fossanova, è chiara la mentalità pianificatoria, tendente, attraverso un procedimento esecutivo modulare e che coinvolgeva ogni aspetto della vita comunitaria, a realizzare quella “città modello” capace di rivoluzionare l’organizzazione civile del momento.
Si spiega, dunque e s’illumina la forza e la capacità di cogliere l’essenza di un’idea e tradurla in una forma artistica.
Si spiega così il volto chiaro e cristallino, metafisico, che andò assumendo la Terracina comunale, tutta riassunta nella plastica struttura di Palazzo Venditti, simbolo del potere civile e laico.
Probabilmente fu Alberto da Terracina, vescovo di Fondi, a volerne la costruzione all’inizio del ‘200, ma non va trascurata la tradizione che la vorrebbe fondata dallo stesso S. Domenico in viaggio verso la Campania (1215), né che possa risalire a Stefano da Ceccano abate di Fossanova nello stesso periodo.
L’inizio della decadenza risale a Innocenzo X che nel 1667 abbandonata poi dagli stessi domenicani.
Riattivata nel 1778, rimase in funzione fino al 1873 quando i monaci dovettero definitivamente lasciare per effetto degli espropri dei beni ecclesiastici.
Ulteriori e gravi danni si produssero nell’ultima guerra con il crollo del tetto, l’occupazione dei privati e la compromissione totale della struttura del convento.
L’intervento di restauro attuato nel 1952 da Giuseppe Zander riuscì a salvare la chiesa dalla totale distruzione, con il parziale riutilizzo a scopo catechistico degli spazi.
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V.