“Sono ancora troppe le italiane che, per vivere la gioia di essere madri devono rinunciare al lavoro oppure privarsi dei diritti che lo stato invece prevede per qualsiasi essere umano. Si tratta di una condizione non più tollerabile e di una rotta da invertire se si vuole che la popolazione ricominci a crescere grazie agli italiani”. Commenta così i dati emersi da uno studio Iref (Istituto ricerche educative e formativa delle Acli) il presidente provinciale delle Acli Maurizio Scarsella.
Secondo la ricerca le donne italiane sono più indipendenti rispetto ai coetanei uomini: tra i giovani di età compresa fra i 18 e i 29 anni che hanno scelto di andare a vivere da soli, il 73,3% è composto da donne. Tuttavia sono sempre le donne a trovarsi costrette ad accettare compromessi nel caso in cui vogliano metter su famiglia: Il 42,1% delle donne residenti in Italia accetterebbe anche di lavorare in nero (contro il 33,9% dei ragazzi), il 29,8% di andare a lavorare in un’altra regione o nazione (35,4% per gli uomini) mentre solo il 18,8% non si perderebbe d’animo e continuerebbe a cercare un lavoro simile a quello desiderato o perso (dato vicinissimo a quello dei maschi, pari al 18%).
Dimensione totalmente diversa quella di chi già lavora all’estero: qui infatti soltanto il 19,1% delle donne accetterebbe un lavoro in nero, mentre sarebbero molto più disposte, il 64,6%, a continuare a muoversi e cambiare nazione. La determinazione delle donne a rendersi indipendenti e mantenere un lavoro si rispecchia anche nelle possibili rinunce che farebbero pur di non venire licenziate: il 31% direbbe addio ai giorni festivi, mentre il 18,5% alle ferie e il 13,1% a una parte dello stipendio. Da notare come il 26,9%, però, si farebbe licenziare pur di mantenere intatti i propri diritti.
“Uno dei problemi più gravi si riscontra nel sistema previdenziale – ha dichiarato il direttore provinciale delle Acli Nicola Tavoletta – che attesta i suoi trattamenti in un’età in cui la maternità è molto rara. Insomma gli effetti concreti di alcuni benefici, ad esempio l’anticipo del godimento dei trattamenti oppure il riconoscimento della contribuzione figurativa, sono praticamente un riconoscimento postumo della funzione sociale della maternità ma non colgono in nessun modo l’obiettivo di sostenerla quando ciò serve, e cioè quando si diventa madre ed in particolare quando i figli sono piccoli. Tutti progetti indicati dalle Acli nazionali che noi della provincia di Latina sposiamo in pieno e cercheremo di portare in parlamento attraverso un’azione di sensibilizzazione dei parlamentari pontini ”.
“Sarebbe bene – conclude Tavoletta – giungere a una temporanea fiscalizzazione dei versamenti contributivi gravanti sul reddito da lavoro delle neo madri, in modo da aumentare il valore dello stipendio netto rispetto alla retribuzione lorda. Si tratterebbe certo di un intervento con un periodo definito, inversamente graduale al crescere del reddito da lavoro della madre e in proporzione crescente al crescere del numero dei figli. In questo modo la madre non avrebbe danno sul suo futuro trattamento pensionistico ma, nel contempo, potrebbe godere subito del vantaggio di avere un maggior reddito disponibile”.