“Abbiamo presentato una diffida formale nei confronti del nostro governo italiano e quindi del presidente del Consiglio, del ministero e del ministro degli Esteri affinché presenti, come le convenzioni internazionali convenute in sede Onu dettano, la richiesta per l’istituzione di un tribunale arbitrale per risolvere una buona volta questa dolorosa vicenda riguardante i nostri Maro’ Latorre e Girone”. Lo dichiara il presidente di Assotutela Michel Emi Maritato che precisa inoltre: “La diffida è fondata sul fatto che qualora ci fosse una questione internazionale in merito alla giurisdizione da applicarsi in acque internazionali qualora accadano incidenti come quelli che hanno visto interessati i Marò si deve avviare avvia la procedura di nomina del Tribunale Arbitrale – composto da 5 arbitri scelti in seno ad un elenco depositato presso le Nazioni Unite – di fatto investendo le Nazioni unite di un problema che sino ad ora loro stessi avevano glissato. Lo Stato Italiano, o meglio il Governo, ora dovrà dimostrare all’intera assemblea plenaria delle Nazioni Unite di avere quella giusta credibilità internazionale poiché, in difetto, è inutile dirlo che l’esito della decisione del Tribunale Arbitrale oltre ad avere ripercussioni sulla sorte dei nostri connazionali, porrà in evidenza quanto sia la pochezza dell’Italia a livello di politica estera, visti anche i risultati dell’operazione Mare Nostrum”.
“Basta con l’Italietta – chiosa Maritato – siamo una Nazione e non un paese come ci vogliono far credere, non possiamo sempre prestare il fianco o porgere l’altra guancia e soccombere: la vicenda Maro’ identifica perfettamente lo status di inciviltà e di arretratezza sociale della nostra governance”.
Nel dettaglio dei termini delle diffida entra il legale che ha rappresentato nel ricorso di Assotutela. “Il Governo Italiano nella persona del presidente del Consiglio dei ministri nonché il ministero degli Affari Esteri, nella persona del ministro pro tempore avrebbero dovuto avviare ufficialmente dinanzi al Consiglio delle Nazioni Unite, così come previsto dall’art. 3 di cui all’allegato VII della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS, in combinato disposto con gli articoli 287 e 298 citata convenzione, formale richiesta di istituzione di un Tribunale arbitrale costituito ai sensi e per gli effetti dell’art. 3 della tabella VII di cui alla detta UNCLOS – conclude l’avvocato Antonio Petrongolo -. Questo Tribunale arbitrale deve determinare l’applicazione alla questione giurisdizionale oggetto della presente diffida la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare”
La Associazione Assotutela, in persona del Presidente Dott. Michel Emi Maritato, con sede in Roma alla Via Castrense 32 (P.I. ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Antonio Petrongolo sito in Roma alla Via Lorenzo il Magnifico 84, giusta delega in calce al presente atto, con utenze telefoniche date da 06.44245729 e mail avvocato.petrongolo@hotmail.it, PEC quale antoniopetrongolo@ordineavvocatiroma.org, presso le quali si desidera ricevere comunicazioni
PREMESSO CHE
- Nella data del 15 febbraio 2012, al largo delle coste indiane del Kerala, la petroliera battente bandiera italiana Enrica Lexie,navigando in rotta di trasferimento da Galle (Sri Lanka) verso Gibuti, ed avendo un equipaggio di 34 persone e con a bordo 6 fucilieri di marina del 2º Reggimento “San Marco” della Marina Militare, in ragione di missione di protezione della nave mercantile in acque a rischio di pirateria, venne incrociata da una imbarcazione poi individuata di nazionalità indiana riportante nome a prua Antony, non battente alcuna bandiera di Stato di appartenenza la quale, in fase di veloce avvicinamento, venne invitata a qualificarsi secondo le norme vigenti del diritto internazionale. Non ricevendo risposta alcuna al sollecito avuto, proseguendo altresì nella propria rotta di intercettazione di quella della Enrica Lexie, nonostante gli inviti di variare la propria rotta, i marò a bordo della petroliera, convinti di trovarsi sotto attacco pirata, nel pieno rispetto delle regole di ingaggio, sparavano diversi colpi di arma da fuoco in direzione dell’imbarcazione sconosciuta;
- Poco dopo la imbarcazione Antony, ricoverata presso il primo porto utile, riportava alla guardia costiera del distretto di Kollamdi essere stata fatta oggetto di colpi di arma da fuoco da parte di una nave mercantile, assumendo che detti colpi avrebbero attinto, uccidendoli, due membri dell’equipaggio ovvero Ajesh Binki, di 25 anni, e Valentine Jelastine (o Gelastine), di 45 anni;
- La guardia costiera indiana, nonostante ci fossero i presupposti della normativa internazionale di far valere nelle acque contigue il diritto di inseguimento, preferiva contattare con un sottile escamotage via radio la Enrica Lexie,chiedendo se fosse stata coinvolta in un attacco pirata e, dopo aver ricevuto conferma dalla petroliera italiana, richiedeva alla stessa di attraccare al porto di Kochi per identificare il presunto battello pirata;
- A detto invito il comandante dell’Enrica Lexie, su assenso dell’armatore, assecondava dette richieste e attraccava nel porto indiano di Kochi;
- Medio tempore, in modus alquanto dubbio per la procedura attuata, venne effettuata nella notte dello stesso giorno l’autopsia sui corpi dei due pescatori indiani senza interpellare le autorità italiane, corpi che poi vennero sepolti nella data del 17 gennaio con la nave italiana posta in stato di fermo;
- Il giorno 19 febbraio 2012 i due fucilieri di marina (in gergo militare “marò”) Massimiliano Latorre e Salvatore Girone vennero arrestati con l’accusa di omicidio da parte della Corte del Kollam che ne dispose la custodia presso la guesthouse della Central Industrial Security Force;
- Il giorno 28 febbraio 2012 il governo italiano formulava richiesta che l’analisi balistica fosse condotta anche con la partecipazione di esperti italiani ma la Corte di Kollam ebbe a respingere detta la richiesta, accordando meramente solo il presenziare degli esperti italiani agli esami balistici condotti invece solo da tecnici indiani, peraltro con strumentistica di vetusta data;
- Dai detti esami balistici condotti dalla polizia indiana si appurò che a sparare contro l’imbarcazione Antonyfurono due fucili Beretta in dotazione ai marò. All’esito pertanto, nella data del 5-6 marzo 2012 il Tribunale di Kollam dispose il trasferimento dei fucilieri nel carcere ordinario di Trivandrum;
- In data 2 maggio 2012 la nave Enrica Lexie, ancora sotto sequestro nel porto di Kochi e con a bordo gli altri quattro fucilieri, viene rilasciata su decisione della Corte Suprema indiana dietro la garanzia da parte dell’Italia che i quattro fucilieri sarebbero comparsi, se richiesti, dinnanzi alle autorità giudiziarie o altra autorità pubblica indiane;
- In data 25 maggio 2012 i fucilieri vennero trasferiti alla Borstal School di Kochi, dove furono confinati in locali separati, ed il 30 maggio 2012 l’Alta Corte del Keraladi Trivandrum concesse ai due fucilieri la libertà su cauzione di dieci milioni di rupie (143.000 euro) ciascuno, cauzione garantita da due persone di nazionalità indiana, stabilendo l’obbligo di firma giornaliero e quello di non allontanarsi dalla zona di competenza del commissariato locale con sequestro del relativo passaporto e trasferimento presso struttura alberghiera sita in Fort Kochi;
- Il 20 dicembre 2012 e sino al 4 gennaio 2013l’Alta Corte del Kerala concesse un permesso di due settimane ai due marò per trascorrere le vacanze natalizie in Italia, permesso concesso subordinatamente a varie condizioni, tra cui l’obbligo di rientro in India alla scadenza del permesso, condizione garantita dal ministro degli Esteri italiano e ulteriormente garantita dall’Ambasciatore e dal Console italiano in India con una dichiarazione giurata (affidavit). In data 3 gennaio 2013 i due marò fecero rientro in India;
- In data 18 gennaio 2013 la Corte suprema indiana sentenziò che lo Stato del Kerala non aveva giurisdizione per procedere contro i due marò italiani poiché i fatti non sono avvenuti nelle sue “acque territoriali” e che il governo centrale di Nuova Delhi si sarebbe dovuto consultare con il presidente della Corte suprema prima di formare una Corte speciale che avrebbe dovuto decidere sulla questione della giurisdizione, iniziativa avviata in data 9 marzo 2013;
- Dopo un breve rientro in patria dei militari per consentire loro di esprimere il voto alle politiche, dopo un sterile iniziativa del Governo Italiano di impedire il ritorno dei due marò in India, e vista di converso la veemente reazione sostenuta posta in essere dal Governo Indiano esplicantesi nel privare della immunità diplomatica l’Ambasciatore Italiano a Nuova Delhi, nella data del 21 marzo 2013 venne annunciato che i fucilieri avrebbero fatto ritorno in India atteso che l’Italia ebbe garanzie circa la non applicabilità della pena di morte agli indagati, oltre la concessione ai due fucilieri di risiedere presso l’ambasciata italiana e di potersi muovere liberamente in essa, con l’obbligo di firma settimanale;
- Contrariamente agli impegni presi in data 23 marzo 2013 il ministro della Giustizia indiano ebbe ad affermare, invece, che non venne data alcuna garanzia sulla non applicazione della pena di morte al governo italiano, limitandosi a spiegare che per un caso come quello dei marò italiani in India, in via generale, non era prevista la pena capitale;
- Nella data del 25 marzo 2013 venne costituito a New Delhi il Tribunale «ad hoc» che avrebbe avuto il compito di giudicare i due marò, presieduto da un «magistrato capo metropolitano» il quale, in base al primo comma della sezione 29 del Codice di procedura penale indiano, quale sua squisita competenza funzionale avrebbe potuto infliggere pene solo fino a sette anni. Ma in data 8 febbraio 2014 il Ministero dell’Interno indiano autorizzava la NIA a portare avanti l’accusa nei confronti dei due marò sulla base del cosiddetta SUA Act (Suppression of Unlawful Acts– Soppressione degli atti illegali), la legge contro il “terrorismo marittimo”, pur escludendo l’applicazione della pena di morte, di fatto vanificando la istituzione del “Tribunale Metropolitano” in quanto in data 10 febbraio 2014 all’udienza davanti alla Corte Suprema Indiana, l’accusa ebbe ad insistere sull’imputazione ai due marò in base al SUA Act;
- Dall’udienza del 18 febbraio 2014 sino a quella del 24 febbraio 2014 si diede atto della necessità di attendere un parere scritto del governo indiano sull’applicabilità della legge antiterrorismo, parere individuato quale favorevole ad abbandonare l’ipotesi dell’applicazione del SUA Act. Venne pertanto chiesto alla NIA di formulare i capi di accusa in base alla legislazione ordinaria, alla quale si contrappose l’eccezione formulata dalla difesa italiana relativa all’incompetenza della NIA a svolgere le indagini, eccezione la quale determinò la sospensione del processo presso la Corte speciale e rinviandosi a nuova udienza al fine di permettere al governo indiano e alla stessa NIA di produrre le proprie controdeduzioni prima di decidere nel merito del ricorso;
- In data 24 aprile 2014 il Ministro degli EsteriItaliano, stante il ristagnare della questione e quale presa di posizione politica annuncò il ritiro dell’inviato del governo, con il ritorno a New Delhi dell’ambasciatore Italiano (il quale precedentemente era stato ritirato) e la costituzione “di una commissione di esperti con carattere giuridico” per lo “scambio di punti di vista” sul caso tra autorità italiane e indiane, paventando che nel caso non si arrivasse a una soluzione concordata, si sarebbe proceduto al vaglio degli strumenti preposti alla risoluzione delle controversie internazionali;
- Nella data del 1° settembre 2014 il marò Massimiliano Latorre, colto da un malore, venne ricoverato nel reparto di neurologiadi un ospedale di New Delhi per un’ischemia transitoria, dimesso poi il 7 settembre 2014 e in suo favore venne presentato ricorso al fine di ottenere il trasferimento del marò in Italia per tre o quattro mesi per proseguire in patria le cure riabilitative, istanza sulla quale la stessa Corte Suprema si sarebbe espressa previo parere del Governo Indiano, nel mentre esentando il marò dall’obbligo di firma presso il commissariato di polizia per via delle sue condizioni di salute.
CONSIDERATO IN DIRITTO CHE
- A) In primo luogo, per rigore di conoscenza esopolitica, non è stata data pubblicazione e notizia della natura e della qualità del contratto stipulato tra l’armatore della Enrica Lexie ed il Governo Italiano, contratto finalizzato all’applicazione della legge 130/2011, norma con la quale si rinnovava l’impegno economico dello Stato Italiano per le missioni internazionali di pacificazione ed intervento nei conflitti attuali, con altresì l’impegno di partecipare attivamente alle attività di repressione di atti di pirateria nel contesto delle operazioni Nazioni Unite in quella che è stata definita Operazione Atalanta;
- B) Lalegge n. 130 del 2 agosto 2011 statuisce che, nell’ambito delle attività finalizzate a dare attuazione alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unitein materia “di contrasto alla pirateria al fine di garantire la libertà di navigazione del naviglio commerciale nazionale”, è previsto all’art. 5 che il Ministro della Difesa “può stipulare con armatori privati italiani ….. convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana in transito negli spazi marittimi internazionali a rischio di pirateria” e imbarcare, “a richiesta e con oneri a carico degli armatori”, “Nuclei militari di protezione (NMP) della Marina, che può avvalersi anche di personale delle altre Forze armate, e del relativo armamento previsto per l’espletamento del servizio”;
- C) Agli atti sembra di fatto che nessun risarcimento ad ogni modo sia pervenuto alle famiglie dei presunti pescatori deceduti nello scontro a fuoco, ciò complicando l’iter processuale, questo si ritiene necessariamente da appurarsi in quanto nel contratto che impegna lo Stato Italiano e l’armatore esercente l’impresa debba presuntivamente esserci un rimando alla tipologia di copertura risarcitoria, o similare, in caso di ipotetici incidenti di natura anche mortale;
- D) Di fatto norma applicabile al caso di specie è la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS), nota come Convenzione di Montego Bay (ratificata sia dall’Italia sia dall’India) adottata dall’International Maritime Organization (IMO) nel 1982 e che riprende le norme della Convenzione di Ginevra sul diritto del mare del 1958;
- E) L’imbarcazione indiana St. Anthony, al momento dell’avvenuto scontro a fuoco, non batteva nessuna bandiera di Stato e non risulterebbe essere registrata in alcun registro nautico, onde per cui si ritiene debba applicarsi per analogia l’art. 92 della detta convenzione (Articolo 92. Posizione giuridica delle navi. Le navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente Convenzione, nell’alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva. Una nave non può cambiare bandiera durante una traversata o durante uno scalo in un porto, a meno che non si verifichi un effettivo trasferimento di proprietà o di immatricolazione. 2. Una nave che navighi sotto le bandiere di due o più Stati impiegandole secondo convenienza, non può rivendicare nessuna delle nazionalità in questione nei confronti di altri Stati, e può essere assimilata a una nave priva di nazionalità);
- F) Si ritiene pertanto che essendo l’imbarcazione St. Anthony sul momento priva di nazionalità, la stessa sarebbe priva in primis della copertura giuridica dello Stato di bandiera come previsto dall’art. 94 stessa convenzione UNCLOS;
- G) Prima facie pertanto si appaleserebbe, da parte del Governo Indiano, la violazione dell’art. 94 della Convenzione perchè avrebbe omesso ogni potere di controllo e vigilanza come previsto, di fatto non potendo esercitare la propria giurisdizione di cui all’art. 97 ultimo comma stessa convenzione UNCLOS in quanto ogni sua funzione è da considerarsi venuta meno;
- H) l’India, ultroneamente, di fatto ed in via evidente non ha esercitato il citato Diritto di Inseguimento di cui all’art. 111 UNCLOS (ovvero di intraprendere una azione di tutela perseguendo gli autori del fatto transitando nella zona contigua, ovvero entro le 24 miglia marine), ma ha con un espediente richiamato in porto la Enrica Lexie con la scusa di identificare un battello che di fatto sarebbe stato indicato quale mezzo utilizzato per atti di pirateria;
- I) Nel punto in cui trovavasi Enrica Lexie, ovvero a 20,9 miglia marine dalla costa indiana nel tratto di mare della zona contigua, dove appunto la giurisdizione dell’India era valevole solo nel caso in cui un fatto illecito fosse stato commesso nelle proprie acque territoriali (entro le 12 miglia marine), il Diritto di Inseguimento di cui all’art. 111 comma primo avrebbe avuto ragione della titolarità della giurisdizione da parte dello Stato Indiano solo nel momento in cui lo stesso diritto di inseguimento fosse stato esercitato (Diritto di inseguimento – 1. È consentito l’inseguimento di una nave straniera quando le competenti autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi di ritenere che essa abbia violato le leggi e i regolamenti dello Stato stesso. L’inseguimento deve iniziare quando la nave straniera o una delle sue lance si trova nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l’inseguimento, e può continuare oltre il mare territoriale o la zona contigua solo se non è stato interrotto. Non è necessario che nel momento in cui la nave straniera che si trova nel mare territoriale o nella zona contigua riceve l’ordine di fermarsi, la nave che ha emesso l’intimazione si trovi ugualmente nel mare territoriale o nella zona contigua. Se la nave straniera si trova nella zona contigua, quale è definita all’articolo 33, l’inseguimento può essere intrapreso solo se sono stati violati i diritti a tutela dei quali la zona è stata istituita).
- L) Nel momento in cui il Diritto di Inseguimento non si eserciti, pur potendone esserci i presupposti strumentali (lo stesso diritto di inseguimento si esercita altresì a mezzo di aeromobili militari o appartenenti alle medesime forze dello Stato inseguitore), l’atteggiamento tenuto dal Governo India no è di fatto da considerarsi del tutto arbitrario e non conforme alle norme della Convenzione stessa, pertanto qualificabile come abuso di diritto di cui all’art. 300 convenzione UNCLOS;
- M) Di fatto si ritiene sia stata violata la applicazione dell’art. 297 che tutela la libertà di navigazione e afferente la giurisdizione competente da applicarsi, ed in tal caso l’Italia avrebbe dovuto invitare ufficialmente l’India al tentativo di conciliazione di cui all’art. 284 della Convenzione UNCLOS, al cui esito negativo si sarebbe dovuto esperire uno dei seguenti modus di esercizio: a) il Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare costituito conformemente all’Allegato VI; b) la Corte Internazionale di Giustizia; c) un Tribunale Arbitrale costituito conformemente all’Allegato VII; d) un Tribunale Arbitrale Speciale costituito conformemente all’Allegato VIII, per una o più delle categorie di controversie ivi specificate;
- N) Si precisa che uno di questi modi doveva essere già stato scelto dagli Stati contraenti la Convenzione UNCLOS, e dagli atti di convenzione risulta che l’Italia abbia optato per la scelta del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare e per la Corte Internazionale di Giustizia mentre l’India di fatto nessuna scelta di mezzo giudiziario espresse dal momento della ratifica sino ad oggi;
- O) Dalla previsione della Convenzione UNCLOS, in difetto di accordo tra gli Stati contraenti sulla procedura da seguire o scegliere, la UNCLOS stessa in ordine alla giurisdizione da applicarsi per la definizione della problematica, come è il caso di specie, statuisce che la questione debba essere devoluta ad un Tribunale Arbitrale costituito secondo l’allegato VII della stessa convenzione UNCLOS, tribunale Arbitrale costituito secondo i dettami dell’Art. 3 dell’allegato VII;
- P) Sino ad oggi il Governo Italiano non ha adottato ed avviato ufficialmente nei confronti del Governo Indiano alcuna procedura di natura ufficiale a mezzo di canali internazionali messi a disposizione dell’ONU, quest’ultimo quale Organo Internazionale al quale è devoluto il corretto esercizio dei poteri da UNCLOS statuiti, di fatto con tale modus agendi dilatando oltre i termini consentiti la definizione e la risoluzione della problematica che da 33 mesi affligge i due militari confinati nel loro esilio giudiziario. Tutto ciò premesso l’Associazione Assotutela, per quanto ut sopra descritto
DIFFIDA
il Governo Italiano, nella persona del Suo Presidente del Consiglio, nonché il Ministero degli Affari Esteri nella persona del suo Minisrtro quale legale rappresentante pro tempore ad avviare ufficialmente dinanzi al Consiglio delle Nazioni Unite, così come previsto dall’art. 3 di cui all’allegato VII della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS, in combinato disposto con gli articoli 287 e 298 citata convenzione, formale richiesta di istituzione di un Tribunale Arbitrale costituito ai sensi e per gli effetti dell’art. 3 della tabella VII di cui alla detta UNCLOS, Tribunale Arbitrale il quale determini l’applicazione alla questione giurisdizionale oggetto della presente diffida la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, detta anche UNCLOS.
Roma, lì 9 settembre 2014
Avv. Antonio Petrongolo
Correlati