domenica 24 Novembre 2024,

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Cefalonia: ergastolo a ex nazista 90enne reo confesso

scritto da Redazione
Cefalonia: ergastolo a ex nazista 90enne reo confesso

Ci hanno detto che dovevamo uccidere degli italiani” perchè “erano considerati dei traditori“; “mi si è fatto buio quando ho saputo questa cosa. Non sarei mai riuscita  a farla“. Invece il caporale Alfred Stork, che all’epoca aveva 20 anni e venne “scelto a caso” per far parte del plotone d’esecuzione, ha sparato. Oggi il Tribunale militare di Roma ha condannato all’ergastolo in contumacia il novantenne ex soldato nazista, anche se quella confessione – resa in Germania otto anni fa – è stata considerata inutilizzabile perché raccolta senza il difensore.
Nei suoi confronti sono però state giudicate determinanti le varie testimonianze e la consulenza che hanno individuato il plotone di Stork “sicuramente” tra quelli in azione alla Casetta Rossa, dove il 24 settembre 1943 venne trucidato l’intero Stato maggiore della Divisione Acqui: in tutto 129 ufficiali (altri vennero ammazzati il giorno successivo per rappresaglia) da parte di due plotoni. Quello di Stork, comandato da “un tenente”, sparò dall’alba al pomeriggio lasciando sul terreno ”73 ufficiali”, come afferma lo stesso imputato. Ad uccidere i rimanenti fu invece il secondo plotone, comandato da Otmar Muhlhauser, l’ufficiale che negli anni scorsi venne incriminato dalla procura militare di Roma e morì nel luglio 2009, mentre era in corso l’udienza preliminare nei suoi confronti. Proprio indagando su Muhlhauser si è arrivati a Stork.
L’anziano ex caporale dei “Cacciatori da montagna” (Gebirsgjager) venne ascoltato dagli inquirenti tedeschi a casa sua, in presenza della moglie Regina. Così ha ricostruito ciò che avvenne quel 24 settembre. Era l’alba: “un ufficiale è arrivato nel nostro campo. Ci ha detto che dovevamo uccidere questi italiani e che fuori era già stato preparato tutto. C’erano un prete e due ufficiali”. I plotoni d’esecuzione, “di 10-12 persone“, vengono formati con militari scelti “a caso. Mi sono chiesto come mai noi alpini dovevamo fare questa cosa”. I prigionieri “erano stati portati con un camion. Erano in piedi, 5 alla volta a circa 8-10 metri da noi. Gli abbiamo sparato“.
Dovevamo sparare in tre su ognuno: uno in testa e due al petto”. La fucilazione dura fino al pomeriggio. Al termine, racconta Stork, “ero sfinito completamente. Pensavo a come si potesse fare una cosa così”. I corpi vengono messi “in un enorme mucchio uno sopra l’altro…“. Prima però “li abbiamo perquisiti, togliendo gli orologi. Nelle tasche abbiamo trovato delle fotografie di donne e bambini, bei bambini”. Quindi “è arrivato un vecchio traghetto. Abbiamo caricato i corpi sul traghetto, che si é diretto verso il mare aperto. Quando sono tornati abbiamo chiesto che cosa ne avessero fatto dei cadaveri e ci hanno risposto di averli legati insieme e gettati in mare“.
Alla domanda del perché, a suo avviso, gli sia stato ordinato di fucilare gli italiani, Stork ha risposto che dopo la rottura dell’alleanza con la Germania “gli italiani erano considerati traditori. Pertanto abbiamo dovuto sparare“.
Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, che ha coordinato le indagini, ha dedicato parte della sua requisitoria proprio a smontare la tesi secondo cui “quelli erano gli ordini e dovevano essere rispettati, pena la morte“. “Non è vero – ha detto – è una delle tante bugie. Il militare ha il dovere di non adempiere ad ordini palesemente criminosi, illegittimi e assurdi, come quello di uccidere altri soldati che si sono arresi: a Cefalonia ci sono stati dei rifiuti e non risulta che nei confronti di chi ha detto di no siano state adottate sanzioni. Chi ha ucciso in modo così vergognoso era consapevole della totale illegalità della propria condotta“. Oggi De Paolis è soddisfatto, ma “soddisfatto a metà“, perché se è vero che questa è la prima condanna per i fatti di Cefalonia dopo quella “simbolica” inflitta a Norimberga al generale Hubert Lanz (12 anni, ma ne scontò solo tre), “arriva a 70 anni dai fatti e questa non si può chiamare giustizia“. Anche i parenti delle vittime che si sono costituiti parte civile (come pure l’Anpi e l’Associazione Divisione Acqui), ai quali è stato riconosciuto un risarcimento che sarà definito in separata sede, sono “soddisfatti, felici“. Ma condividono le considerazioni del pm. Dice ad esempio Marcella De Negri, figlia del capitano Francesco De Negri. “Finalmente è stato condannato un militare tedesco perché ritenuto responsabile di questo crimine di guerra, ma Stork è anche l’ultima ruota del carro: sono passati 70 anni e tutti i maggiori responsabili della strage, a causa della ‘ragion di Stato’ e quindi per motivi politici, non hanno subito alcuna conseguenza per questo efferato crimine“.

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