Sono 39 i centri per l’impiego, di cui 25 soltanto a Roma (16 in provincia, 5 nella Capitale e 4 all’interno delle Università), 4 a Frosinone, 5 a Latina, 2 a Rieti e 3 a Viterbo. Centri ai quali nel 2012 si sono rivolti circa 183 mila utenti in cerca di occupazione (di cui circa 41 mila under 25), con una percentuale pressoché simile tra uomini (51,5%) e donne (48,5%). Soltanto il 2,5% delle persone alla ricerca di un lavoro, lo ha trovato attraverso i centri per l’impiego. Questi alcuni dati realizzati ed elaborati dalla Uil di Roma e del Lazio in merito ai centri per l’impiego della nostra regione. “I centri infatti vengono utilizzati dall’utenza – spiegano gli operatori – soprattutto per richiedere certificazioni di disoccupazione e pratiche burocratiche e molto poco per una ricerca occupazionale. Ciò probabilmente anche a causa di un mancato collegamento diretto con le aziende o perché vengono dirottati nei Cpi gli utenti che si rivolgono alle Asl per chiedere l’esenzione del ticket sanitario. Se il sistema funzionasse, il Centro potrebbe realmente adempiere ai compiti per cui è nato e non sbrigare pratiche di altri uffici”. Il Lazio è, insieme alla Campania e alla Sicilia, la regione italiana col più alto numero di operatori dei centri per l’impiego assunti a tempo indeterminato: 97,1% su una media nazionale – già di per sè elevata – dell’88%. Su 602 operatori che lavorano nei Cpi della nostra regione, infatti, 588 hanno un contratto a tempo indeterminato, con una media di 17,2 operatore per centro. Di questi, la maggior parte (82%) svolge funzioni di fronte office, quindi a diretto contatto col pubblico. Per quanto riguarda la formazione culturale degli operatori, secondo i dati diffusi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, soltanto il 15,5% ha un diploma di laurea. “A cosa servono così tanti centri per l’impiego?” – domanda il segretario generale della Uil di Roma e del Lazio, Pierpaolo Bombardieri. “Se, come dicono gli stessi operatori, i centri svolgono prevalentemente funzioni diverse da quelle per cui sono nati e se soltanto il 2,9% delle offerte delle aziende italiane passa attraverso i Cpi, perché non si fa una seria verifica della loro effettiva utilità? Soprattutto in rapporto alle necessità del territorio. E da chi saranno gestiti adesso? Non sarebbe più opportuno averne 10 – 15, a seconda dei bisogni e dell’affluenza, ma realmente operativi nella ricerca di un lavoro?”. Dallo studio emerge, infatti, che chi cerca lavoro non passa attraverso i centri per l’impiego: solo il 3,4% dei disoccupati italiani ha utilizzato il Cpi come canale di ricerca. La maggior parte si affida a conoscenze dirette e segnalazioni di conoscenti, banche dati aziendali e annunci a mezzo stampa. “Ciò significa – prosegue Bombardieri – che sarebbe opportuno rivedere al più presto l’intera rete dei centri per l’impiego, ridimenzionando la loro presenza e investendo sulla necessaria formazione degli operatori, in modo da arrivare a svolgere compiti ben definiti, magari anche attraverso l’autocertificazione di alcune pratiche che vanno a intasare questi luoghi adibiti a tutt’altro. E, inoltre – conclude Bombardieri – nella loro gestione andrebbero coinvolti anche i Comuni, che sono gli enti più vicini al territorio. Una gestione esclusivamente regionale non farebbe altro che rendere più dispersivi ruoli, compiti e strutture, a totale discapito dei cittadini”.