lunedì 25 Novembre 2024,

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C’era una volta Terracina … Storie e personaggi di una comunità perduta

scritto da Redazione
C’era una volta Terracina …  Storie e personaggi di una comunità perduta

Per la serie dei “tipi terracinesi” nella puntata che ci apprestiamo a pubblicare fermiamo la nostra attenzione sul farmacista per eccellenza della Terracina degli anni ’50: sor Giovanni Rebora, che insieme a un altro benemerito terracinese,  sor Arturo Pasquali, per decenni hanno tenuto desta l’attenzione della città sulle loro imprese più o meno goliardiche.

La perfomance del caso di specie s’intitola “Il Centauro”.

Buona lettura.

 Everardo Longarini

 

“Il Centauro”

 Una casa farmaceutica aveva regalato una Gilera 250 al farmacista Giovanni Rebora comunemente chiamato sor Giuvagne e, sottovoce, j’Addattele, per la straordinaria somiglianza che aveva con un terracinese che portava questo soprannome.

Il sor Arturo Pasquali si sentì declassato e così, com’era sua indole d’istintivo, ordinò una Guzzi 250.

Il giorno dopo che le fu consegnata non stava nella pelle: fremeva come un puledro al nastro di partenza.

Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, una torrida giornata di luglio – insieme con uno che se ne “intendeva” è che doveva istruirlo nella guida si portò all’altezza del cancello del Giardino del Papa (20/30 metri prima del Ponte del Salvatore) e smanioso vi montò a cavalcioni. E cominciò “l’acculturamento”.

Quello gli indicò cosa fare per aprire e far circolare la benzina, come mettere in moto e come accelerare.

Il che, diligentemente, eseguito, avvenne e la motocicletta cominciò a rombare.

Per quel che accadde è necessario, a questo punto, che sappiate bene una cosa. Il sor Arturo quasi non dava tempo all’istruttore di terminare di parlare che, intuendo e prevedendolo eseguiva rapidamente le istruzioni che quello andava ammannendogli.

Quando gli indicò quali leve muovere per partire, il sor Arturo, scolaro entusiasta e diligente, dicendo: come? Così? – mosse rapidamente il tutto e la moto come scagliata da una fionda gigantesca, partì sparata a razzo.

Mamma meja bbona, che macelle!

Vi fu un generale “si salvi chi può” di persone e animali.

Il sor Arturo, aggrappato tenacemente al manubrio e col bastone che gli penzolava dal braccio, urlava terrorizzato che lo fermassero, inseguito da quattro, cinque cani che abbaiavano come ossessi e che tentavano di morsicarlo ai calcagni.

Il maestro gli correva dietro urlandogli le istruzioni per fermarsi.

Il cavallo di un carrettiere s’imbizzarrì rovesciando un mezzo carico sulla strada.

Una decina di terellane che stavano scaricando il sandalo, urlando come pollastre spennate vive, gettarono le ceste che portavano in testa mettendosi in salvo a balzelloni sul marciapiede.

Un mezzo battaglione di gatti miagolanti spaventati si arrampicò disordinatamente dove potè e la gente insonnolita si affacciò spaventata chiedendosi cosa fosse successo.

Perfino le “soreche” s’inguattarono nel più profondo delle fogne.

Il sor Arturo, novello centauro, si perdette nel fondo dell’Appia, in una nuvola di polvere.

Il giorno dopo a chi gli chiedeva rispondeva incavolatissimo: mi sono fermato a Cisterna perché ho finito la benzina.

– E la motocicletta?

– L’ho venduta a Cisterna e sono tornato con l’ultimo treno.

E da quel giorno guai a parlargli di motociclette.

A chi si azzardava, lui, piegando il braccio destro con un pugno chiuso e battendovi sopra la mano aperta sinistra, esclamava: Tè, a ttè e lle mutececlette!

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