Nella Costituzione italiana, per la costruzione, se non di un’identità, ma almeno di una comunanza di popolo su categorie altre da quelle dell’appartenenza, non si riscontra alcun ostacolo, né logico, né assiologico. La cittadinanza diversa da quella politica viene denominata cittadinanza amministrativa, nel senso di appartenenza ad una comunità diversa da quella sovrana, con legittimazione a posizioni soggettive che non dipendono dallo status di cittadino–sovrano. La cittadinanza amministrativa è composta dai diritti amministrativi, che, partendo dalla nozione di popolazione residente, comprendono in generale i diritti alla partecipazione amministrativa. La cittadinanza amministrativa è l’appartenenza ad una comunità territoriale e fonte di titolarità dei diritti di elettorato per gli organi di governo locale. In tal senso, l’ordinamento europeo legittima i cittadini, appartenenti ad altri Stati membri dell’Unione europea, all’elettorato attivo e passivo degli organi delle comunità locali, nel cui territorio i cittadini europei sono residenti.
La cittadinanza amministrativa si compone di coloro che contribuiscono attivamente a gestire la cosa pubblica, si presenta come uno strumento di composizione e conservazione del legame sociale. Risulta essenziale puntare sull’appartenenza ad una comunità per riscoprire i propri diritti. La cittadinanza passiva non basta senza diritti di partecipazione, ed è pur vero che il diritto al voto non è il solo mezzo per ritenersi investiti di cittadinanza attiva. Se al momento non è possibile giungere ad una cittadinanza universale, nel senso di riconoscere agli stranieri, oltre che i diritti civili e sociali, anche quelli politici, è possibile costituzionalmente la scelta di riconoscere una certa cittadinanza come partecipazione. L’ordinamento europeo impone il divieto di «qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza». A conferma il diritto ad una buona amministrazione è un diritto di tutti, anche dei non residenti, comprende «ogni individuo», determinando così un’apertura nei confronti di ogni persona prescindendo dal suo particolare status di cittadinanza dell’Unione o al di fuori dell’Unione o di apolidia. In materia di accesso ai documenti, si legge che «qualsiasi cittadino dell’Unione», ma poi si aggiunge che «qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro», ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni. Anche qui è innegabile che si sia oltrepassato lo schema di un’estensione restrittiva, comprendendo interamente la persona, esibendo così una sua certa universalità. Inoltre, ciò che conta è che il riferimento a persone fisiche o giuridiche che risiedano o abbiano la sede sociale in uno Stato membro dia valore giuridico al principio della residenza.
Il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo e quello di rivolgersi al Mediatore comunitario sono diritti di partecipazione che non spettano ai soli cittadini, ma a tutti i soggetti residenti nell’Unione europea. L’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi che incidono sulle persone è di rilievo costituzionale, quando si tratta di provvedimenti che hanno come destinatari sia cittadini che residenti. La cittadinanza–appartenenza, quella tradizionale, distingue i cittadini rispetto ai non–cittadini. Alla base del processo di unificazione europeo c’è una cittadinanza comune, all’interno della quale è presente una certa idea di Amministrazione in considerazione della cittadinanza–partecipazione, quella amministrativa. Questo ragionamento evoca la sussidiarietà orizzontale, nel senso del principio che segna il limite dell’autorità, limite derivante dal riconoscimento della capacità della persona di essere libera, dunque, il riconoscimento della sua autonomia, allo scopo di cercare uno spazio operativo per l’elaborazione di un modello di cittadinanza inclusiva e democratica.
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