Alla sinistra occorre una svolt politica e il coraggio di rompere con “l’eccesso di prudenza e gradualita’” che finora hanno caratterizzato il socialismo europeo. Torni a parlare “alle nuove generazioni e al mondo del lavoro”, altrimenti corre, in Italia come in tutta Europa, il rischio di una “deriva irrimediabile”. Lo scrive Massimo D’Alema in un’analisi dal titolo “Fondamenti per un programma della sinistra in Europa”, anticipato dall’Huffington Post, che sara’ pubblicato il 31 dicembre sul nuovo numero della rivist italianieuropei.
Secondo l’ex premier, oggi presidente della Feps, la Fondazione dei progressisti europei, la sinistra sembra ormai
essere il “bersaglio principale” dell’antipolitica. “Non e’ difficile capire perche’. In realta’ – sottolinea – e’ persino naturale che sia proprio la sinistra a essere sul banco degli imputati, nel momento in cui la globalizzazione selvaggia provocata dal capitalismo finanziario e la sua successiva crisi hanno innanzitutto colpito protezioni e diritti sociali, aggravando diseguaglianze e poverta’. In questo contesto, la sinistra appare una forza che, ben piu’ dei partiti conservatori, e’ venuta meno alle sue ragioni costitutive e alla sua missione storica. Tutto questo ci potra’ sembrare ingiusto, e in parte lo e’. Ma non possiamo nasconderci il peso e il rilievo delle nostre responsabilita’”. A questo punto, sottolinea l’ex premier, il movimento progressista per ripartire deve prendere atto dell’errore nella valutazione ottimistica degli effetti della globalizzazione sull’economia e recuperare il suo ruolo fondamentale nella politica. “Il rischio, per i socialisti, e’ grave: diventare – scrive D’Alema – progressivamente junior partners delle forze conservatrici, appannando la propria identita’ e rafforzando cosi’ le ragioni di chi guarda all’establishment europeo come a un insieme sostanzialmente, politicamente e culturalmente omogeneo”. Al riguardo, D’Alema propone “una spinta che viene ormai da tanta parte del pensiero economico, da Joseph Stiglitz a Paul Krugman, da Mariana Mazzucato a Thomas Piketty, al nostro Salvatore Biasco”, ma che ancora “non si traduce in un coerente e coraggioso programma politico”.