Il presidente della Provincia di Latina, Armando Cusani, ha affidato l’incarico all’Avvocatura dell’Ente di impugnare al Tar del Lazio la Delibera del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 recante “Determinazione dei criteri per il riordino delle Province, a norma dell’art. 17, comma 2 del D.L. 95/2012”.
Un atto formale importante, perché il presidente della Provincia di Latina e la sua maggioranza di centro destra non intendono rinunciare a credere nella possibilità di un riordino istituzionale utile all’Italia, e nell’interesse dei cittadini italiani.
Di questo intrapreso percorso il presidente Cusani ha spedito ai suoi colleghi una lettera nella quale pone l’accento su tutte le mancanze di un provvedimento governativo, che si riduce a un mero accorpamento geografico-amministrativo senza seguire alcun criterio di omogeneità dei territori, specie in termini di attività economiche, caratteristiche storico-culturali e geomorfologiche dei suoli.
«Convinto, sostenitore della istituzione Provincia quale alto presidio di democrazia e snodo attorno al quale si costruisce ed estrinseca il principio della sussidiarietà – scrive il presidente Cusani – ho da sempre compreso e condiviso la necessità di una riforma istituzionale ispirata ad un rinnovato pluralismo amministrativo ed alla salvaguardia di quella rappresentatività democratica che da sempre contraddistingue il nostro Paese.
Si è per questo auspicato un processo di razionalizzazione degli enti che non
al contrario, i criteri determinati dal Consiglio dei Ministri posti a base del riordino: comportano per la Provincia di Latina, caratterizzatasi da una sana gestione amministrativo finanziaria, un gravissimo pregiudizio e nocumento; non tengono in alcuna considerazione le differenze correnti tra le Regioni Italiane, né sono in grado di considerare la peculiarità che presenta la Regione Lazio, in relazione alla presenza di Roma Capitale; non tengono conto di alcun tipo di fattore legato alla peculiarità di ogni provincia italiana; non sono in grado di individuare alcun elemento di virtuosità, né connesso alla efficienza amministrativa, né alla capacità e/o solidità dei conti pubblici; determineranno una concentrazioni delle funzioni per ciascun ambito territoriale, e con esso una depauperamento del principio dell’autonomia e del federalismo.
L’auspicio pertanto si è infranto, innanzi l’intervento draconiano previsto dall’articolo 23 del “decreto salva-Italia” il quale non potendo cancellare un ente previsto dalla Costituzione, di fatto lo ha trasformato in un ente inutile. Quindi da sopprimere (o più delicatamente da riordinare).
I provvedimenti successivi nella specie il decreto-legge 95/2012, convertito in Legge n.135/2012 e la deliberazione del Consiglio dei Ministri di individuazione dei criteri per il riordino, rappresentano un atto di tradimento verso una riforma costituzionale, voluta, attesa, e realizzatasi con fatica per rilanciare un Paese fondato su di un architrave absoleto, su di un apparato accentratore, lento a rispondere al fabbisogno dei propri amministrati, lontano dalle loro esigenze.
Dalla manovra attuata dal Governo, avallata da questo Parlamento, emergono revanches centraliste alimentate da interpretazioni assai distorte della Carta costituzionale.
La politica, nell’accezione più nobile del termine, quella che esercitiamo quotidianamente mettendoci la nostra faccia, stringendo la mano agli elettori, rispondendo ai cittadini nelle piazze, muore con le Province, con la rinnegazione dei principi che la riforma costituzionale ha ispirato, violati dall’ennesima manovra frutto dell’emergenza, della pavidità di riforme frettolose e non ispirate al bene comune.
Ritengo giusto dover avversare i provvedimenti varati e per questo ho provveduto – termina Armando Cusani – incaricare l’Avvocatura provinciale conferendo mandato al legale di impugnare al Tar del Lazio la Delibera del Consiglio dei Ministri, unendomi a quelle Province che non intendono rinunciare a credere nella possibilità di un riordino istituzionale utile all’Italia, ma nell’interesse dei cittadini italiani».