Ridurre il dibattito sulla rappresentanza politica all’interno della sanità pubblica della provincia di Latina, come tenta di fare l’ex primo cittadino di Terracina, è riduttivo e ci porta indietro di almeno 30 anni.
Forzare tutto per fini di mera cucina politica le grandi questioni dell’offerta e della gestione di sanità pubblica ha rappresentato in questi anni il punto di partenza e di arrivo dello sfascio in cui è precipitato il sistema e, ritengo, tutto per responsabilità di una conduzione politica scriteriata.
Forse sarebbe meglio parlare, considerati i risultati, di una rappresentanza politica senza alcuna qualità per un impegno che doveva essere quasi esclusivamente tecnico.
Prima di entrare nel cuore del problema è bene ricordare che l’accelerazione allo sfascio della sanità deriva dalle modifiche apportare al titolo V della Costituzione, che affidava quasi in via esclusiva alle regioni la gestione del sistema sanitario.
La politica e i politicanti non tardarono a comprendere che il piatto di spartizione costituiva il 70% del bilancio regionale e si precipitarono con i propri rappresentanti intorno al ghiotto desco.
Non si è dunque trattato di inserire figure di garanzia politica per gli indirizzi di gestione, ma di una vera e propria lottizzazione di ogni ambito sanitario.
Un sistema che ha fatto lievitare i prezzi delle prestazioni in maniera disomogenea se confrontati tra regione e regione, creando quel “potere” di resistenza e di pressione “localistica” che non aveva ed ha nulla a che vedere con gli interessi generali dei cittadini bisognosi di avere un trattamento sanitario all’altezza di una moderna società.
Tutto questo mentre c’è chi, ancora oggi, sostiene che non si può non essere presenti al tavolo della “rappresentanza” politica della sanità.
Noi affermiamo invece con forza che la politica e i loro deleteri rappresentanti dovrebbero uscire dal sistema sanitario, iniziando dalla conferenza provinciale dei sindaci, dove ognuno dei delegati tenta di portare quanto più possibile al proprio ospedale o piccola frazione di territorio senza guardare allo scenario reale dei bisogni.
Bene, se è questo che alcuni rappresentanti politici terracinesi vogliono non possiamo acconsentire e la nostra battaglia sarà di riconsegnare la sanità a chi vive professionalmente questo importante sistema democratico.
Come?
Smontando prima di tutto l’impianto di potere che la politica, questa politica, produce.
Bisogna impedire (per legge) che le regioni non nominino più i direttori generali dell’Asl e degli ospedali pubblici tra persone “amiche” e queste, a loro volta, non assumono personale “amico” e assegnano incarichi agli “amici”.
Interrompere in buona sostanza una catena di poteri che decide a chi dare i soldi, quanti ne dà e gestisce con personale “amico” tutte le strutture sanitarie, spesso anche quelle private.
Una enorme rete di poteri che non trova ostacoli nella diramazione ad eccezione di alcune verifiche su determinati bilanci da parte del Ministero del Tesoro e della Corte dei Conti.
Si comprende quindi che l’autonomia della politica all’interno del sistema sanitario trova praterie estese, anche per l’illegalità.
C’è bisogno di cambiare una legge che non funziona, eliminando le regioni dalla gestione quotidiana della sanità, compito che deve svolgere un tecnico esperto iscritto a un albo nazionale.
Tecnici che devono rispondere del loro comportamento e devono essere premiati o penalizzati in virtù dei risultati che conseguono.
Gli amministratori dell’Asl da “padroni” devono passare a supportare l’organizzazione e la gestione del personale sanitario.
Le aziende sanitaria devono avere l’obbligo di accogliere i malati e non di sacrificarli per nome e per conto dei tagli lineari.
Credo, infine, che non serva e non produca alcun passo in avanti chi, impegnato in politica, continua a professare momenti di “lottizzazione” spacciandola per sana rappresentanza istituzionale dei cittadini in ambito sanitario.
Gina Cetrone