Quel tardo pomeriggio del 13 marzo del 2013 mi ritrovavo anch’io in piazza San Pietro correndo più avanti possibile avendo visto l’inaspettata fumata bianca. Che la Chiesa avrebbe iniziato una rivoluzione lo avevo capito nell’ascoltare il nome scelto dal nuovo Pontefice. Francesco. Nessuno prima di Bergoglio aveva osato così tanto nel ricondurre il senso di un papato alla figura del santo più amato ma soprattutto più radicale della storia. E così, dalla pronuncia di quel nome tutto è realmente cambiato.
Da tempo la locuzione “fake news” è una delle più ricorrenti a livello globale. In un’epoca continuamente attraversata da finzioni mediatiche e mistificazioni comunicative, il pontificato di Francesco si distingue “au contraire” per autenticità e schiettezza.
Oggi è una data su cui meditare. Il decennale della sua elezione al Soglio di Pietro, infatti, offre l’occasione per inquadrarne la ricca e provvidenziale missione. Quella testimoniata da Francesco è una Chiesa aperta, che esce da sé stessa, si china sui poveri, si spalanca al mondo e all’umanità, sentendosene parte e sapendo di condividere la sorte e di avere contratto, in Cristo, un debito di servizio nei suoi confronti. E’ una mobilitazione permanente di misericordia ed empatia quella che Jorge Mario Bergoglio tramuta per tutti e per ciascuno in una peculiare e straordinaria occasione di grazia. Possiamo coglierne la fecondità, quindi, in una pluralità di contesti individuali e collettivi. E cioè l’accoglienza, l’impegno di pacificazione, la condivisione di emergenze sociali, la risposta alla domanda di senso dell’uomo contemporaneo. Ripercorrendo le dense pagine del decennio bergogliano, le parole e i gesti ci consentono di scorgere, come in controluce, l’afflato che accompagnano l’incessante predicazione del Vangelo e la sollecitudine caritativa di Francesco. Il luminoso e coinvolgente spirito della “Chiesa in uscita” emerge nitido e chiaro nel progetto di una Ecclesia dialogante e aperta al mondo. Occorre tenere fisso lo sguardo sulla Dottrina sociale per poter comprendere appieno quello che il Pontefice fa e dice. Sono gli orientamenti coraggiosi e radicalmente evangelici con i quali ha impresso e continuamente imprime una svolta e un’accelerazione al vivere ecclesiale.
Ogni riflessione e decisione del Papa contribuisce ad arricchire il cammino comune dell’umanità, allargando il campo dal piano teologico e pastorale a quello economico, politico e sociale così da comporre un quadro articolato e completo. Giorno dopo giorno, nel terzo millennio “global”, si estende un mosaico utile a cogliere le varie direzioni in cui si concretizza l’impulso di riforma con il quale Francesco ripensa il modo di essere comunità. L’azione di Francesco non si limita a uno o a qualche ambito dell’appartenenza di fede, ma tutto e tutti coinvolge, trasformando e potenziando dall’interno ogni struttura visibile e iniziativa benefica. Il suo modello è quello indicato da San Giovanni XXIII nell’allocuzione “Gaudet Mater Ecclesia”. L’intero insegnamento cristiano va continuamente sottoposto a nuovo esame “con animo sereno e pacato, senza nulla togliervi”. Un impegno tanto più indispensabile alla luce dei recenti sviluppi della società, con l’espandersi delle dinamiche globalizzanti e la pervasività del web, fonti incessanti di grandi opportunità e insidie, come tragicamente dimostra la logorante battaglia delle contrapposte “verità” durante la pandemia e la guerra nel cuore dell’Europa.
In dieci anni Francesco ha inserito la Chiesa in uno stato di perenne revisione del suo operato, testimoniando un atteggiamento di conversione interiore che costa fatica ma che purifica la memoria e l’identità e che non potrà più essere accantonato. Il Papa pone la cristianità in una condizione di revisione permanente, ricordandole che non può mai accomodarsi per compiacersi degli obiettivi già raggiunti né può dichiarare conclusa con successo la revisione dei suoi apparati, del suo approccio al mondo e della sensibilità con cui proporre Cristo all’uomo contemporaneo. E’ questa la salutare inquietudine che Francesco raccomanda a tutti gli uomini e le donne di buona volontà da quando è stato eletto. E’ quella predisposizione a mettersi sempre in discussione che serve a rimanere spiritualmente giovani e gioiosi e fa sì che tutti possano vedere e accogliere la Buona Novella. Il Papa esorta ad essere una “Chiesa povera per i poveri” secondo il mandato del Costituzione dogmatica “Lumen Gentium”. E’ l’unica maniera per “essere sacramento in Cristo”, ossia “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.
La preghiera solitaria in una piazza San Pietro resa deserta dall’emergenza sanitaria e le lacrime alla solennità dell’Immacolata per i conflitti in corso confermano l’amore quale imprescindibile vocazione dell’Ecclesia. Il sangue degli innocenti è sofferenza costante per il Papa, come Gesù stesso ha insegnato proclamando il comandamento della carità. Solo attraverso la compassione, infatti, la Chiesa può realizzare il suo compito di essere strumento di unità così da superare l’odio. Francesco valorizza ciò che unisce e oltrepassa ciò che divide, richiamando laici e consacrati all’urgenza interiore di vivere la carità in ogni momento, facendo di essa il motivo propulsore di ciascuna iniziativa solidale e il parametro di verifica delle attività dei singoli e della comunità. In questo modo il Papa offre un esempio credibile per sperimentare la speranza. E ci esorta a verificare se viviamo o meno secondo l’afflato della misericordia. Lo storico risultato è il ripensamento del posto della Chiesa nella società affinché divenga uno specchio, quanto più possibile terso, capace di riflettere l’amore ricevuto da Gesù. Solo un’Ecclesia che pone al centro la carità può essere veramente sé stessa. Solo riscoprendo la centralità della solidarietà può attuare la vocazione evangelica e farsi vera promotrice di unità. Perciò nell’ instancabile missione contro ogni guerra Francesco dà prova della sensibilità ecumenica riflessa nella “Unitatis Redintegratio”, sulle orme del Concilio e facendo proprio il desiderio di incontro e dialogo con le altre religioni espresso nella “Nostra Aetate”.
In linea con i suoi predecessori e per volontà di comunione, il Papa si prepara al Giubileo del 2025 dimostrando personalmente la scelta di fondo della fraternità. E compiendo gesti significativi e fecondi, come lo storico colloquio con il patriarca russo Kirill. Francesco realizza così la “Gaudium et Spes” che incarica la Chiesa ad aprirsi al mondo. Non per perdere la sua identità, ma appunto per trovarla. Servire la Chiesa e non servirsene, dunque. L’Ecclesia esiste per la missione che compie. La condivisione, infatti, non è altra cosa rispetto ai dogmi, anzi ne è la naturale prosecuzione e il compimento. Francesco indica così alla Chiesa la via della solidarietà con il genere umano in modo da adempiere al mandato di Cristo. E’ la “caritas” a dover animare la Chiesa al suo interno e a renderla sacramento di salvezza.
Ed è la chiamata alla misericordia la spinge verso l’esterno per trasmettere ciò che ha ricevuto dal Risorto. L’unità negli intenti e nella prassi, dunque, è il punto focale del ministero di Francesco. E costituisce anche il criterio fondante di una concezione geopoliticamente inclusiva. Lo stesso linguaggio del Magistero si ispira alla regola suprema dell’empatia cristiana. Per Jorge Mario Bergoglio, infatti, la misericordia non cancella le esigenze della giustizia, bensì le presuppone e le compie. E laddove una giustizia piena non sia possibile a causa di antiche ingiustizie che si sono già consumate, si apre una strada: la richiesta di perdono. Il Papa ne ha dato prova in numerose occasioni, come nei “mea culpa” rivolti alle “donne crocifisse” schiavizzate dalla tratta della prostituzione coatta e al martoriato popolo del Chiapas nel viaggio apostolico in Messico.
Perciò oggi ricorre il decennale della “Chiesa ospedale da campo”, aperta a tutti, estranea a compromessi o ad alleanze di comodo, libera e rivolta ai poveri e a ogni situazione di bisogno, estranea al pregiudizio e capace di sostenere e accompagnare sofferenze e fragilità con volto di madre. Una vicinanza che non è mai debolezza e che si trasforma al contrario in motivo di forza e di autorevolezza, come si è reso evidente in numerose occasioni cariche di significato. Ad esempio, nel gesto umile e simbolicamente potente dell’indizione di un giorno di digiuno e preghiera per la guerra in Siria, o nella mediazione papale nei rapporti tra Usa e Cuba, risultata determinante per il riconoscimento reciproco tra gli Stati. L’opera della Chiesa diventa efficace, ricorda Francesco, non quando essa difende le sue posizioni, ma quando è libera e ancorata alla vera ricchezza che le viene da Dio. Buon decennale, Santo Padre. Ad multos annos!
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