Oggi penso a voi cari fratelli maggiori. In questa giornata che trasuda di così tanto dolore posso solo immaginare quanto sia straziante per tutti i parenti delle vittime ricordare ogni anno, e poi di fatto ogni giorno l’orrore che proprio noi, esseri umani, siamo riusciti a perpetrare verso altri fratelli e sorelle indifese. Quella follia che non ebbe limite sembra però non aver insegnato ancora nulla. L’uomo si ostina a regredire ogni qualvolta affiora l’inimicizia verso qualcuno. Si riesce addirittura a desiderare lo sterminio dell’altro e in questo mondo ancora tanti innocenti soccombono all’odio, alla vendetta, all’assassinio delle guerre. E così mentre si celebra la Giornata della Memoria con una parvenza di consapevolezza scopriamo che tanti questa memoria l’hanno persa o addirittura tradita.
Ma “quel che è accaduto non può essere cancellato, ma si può impedire che accada di nuovo”, scrive Anna Frank nel suo Diario. Nella società globalizzata della connessione non stop, siamo tutti bersagliati ogni istante da immagini violente e messaggi d’odio. Neppure ce ne rendiamo conto ma in questo modo rischiamo di diventare assuefatti e indifferenti. Come se la realtà avesse lasciato tutto lo spazio a una sua trasposizione virtuale. Nulla sembra più attrarre la nostra attenzione. Per questo e tanto più in un’epoca sferzata dai venti di guerra in Europa Orientale, in Terra Santa, nel Corno d’Africa e in quei colpevolmente dimenticati conflitti asiatici, assume un significato determinante fare silenzio dentro e attorno a noi per ripassare la più tremenda lezione della storia.
L’odierna Giornata della Memoria, perciò, non si sostanzia solamente in uno sguardo doverosamente rivolto alle indicibili e crudeli atrocità da subite da milioni di ebrei nel passato ma è l’occasione per riflettere su un presente molto difficile e per costruire insieme un futuro di pace, concordia e condivisione. Papa Francesco, nel suo viaggio in Polonia e in numerose occasioni solenni, ha ribadito a nome della cristianità e dell’umanità intera l’accorato “mea culpa” per l’orrore della Shoah, termine d’origine biblica (“tempesta devastante”, Isaia 47, 11) con cui si indica lo sterminio del popolo ebraico durante la Seconda Guerra Mondiale. Nessuno può voltarsi dall’altra parte di fronte a una delle pagine più nere della storia universale. La straziante enormità di quanto accaduto deve suscitare in ogni coscienza un naturale e irrefrenabile sentimento di difesa della dignità. Non c’è giustizia senza pacificazione della memoria. “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa – afferma la senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz -. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza”. Perciò l’anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, deve tradursi in un corale “mai più” che coinvolga in primo luogo gli educatori e le famiglie. La quotidianità di ciascuno di noi (come individui e comunità) non può prescindere da un senso di ripulsa morale rispetto a quanto patito dal popolo ebraico.
L’antisemitismo, in ogni sua forma, è un cancro dal quale ogni generazione deve sottrarsi come dal veleno mortale di un serpente diabolico. L’etimologia di “diavolo” è proprio questa: il “divisore”, colui che crea separazione e ostilità. Al contrario è compito e dovere di ogni donna e uomo di buona volontà tenere viva e vigile l’attenzione verso l’abominio della Shoah anche quando ne scompariranno gli ultimi testimoni. Commemorare le vittime dell’Olocausto deve spingerci tutti e in qualunque area del mondo a non dimenticare che le logiche dell’odio e della violenza non si possono mai giustificare perché negano la nostra stessa umanità. “Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”, avverte Primo Levi, scrittore e superstite della Shoah.
Come sacerdote al servizio dei più fragili raccolgo il grido d’aiuto di tanti “invisibili” che sono costretti a lasciare le loro case e i loro affetti per esplosioni collettive di malvagità e intolleranza. A un gruppo di studenti all’Università La Sapienza di Roma Sami Modiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ha rievocato la sera del 19 agosto del ’44, quella dell’arrivo al lager: “Cinque camere a gas, cinque forni crematori, camere di tortura, camere di esperimenti. A raccontarlo non ci si crede. Ci hanno lavati e disinfettati, ci hanno dato un pigiama a righe. E poi ci hanno tatuato un numero sul braccio. Mio padre era B7455. Io B7456. Un solo numero di differenza. Ma B7455 non c’è più. Mia sorella è vissuta ancora 30 giorni, lui 40-45. Ed è stato davanti a quel cimitero di innocenti che non avevano colpe che ho detto: ‘Io giuro davanti a voi che da oggi in avanti non mi fermerò. Fin quando Dio mi darà la forza di farlo, non mi fermerò. Io andrò avanti. Per voi’”. E’ questo l’obbligo etico cui siamo tenuti a rendere testimonianza. La salvezza dal male è nei nostri cuori. Solo così potremo impedire che il bene soccomba di nuovo.
I commenti non sono chiusi.