Non applicata nessuna misura, invece, a un ulteriore figlio di Mukamitsindo, quel Richard Mutangana, già noto per l’emergere del primo filone d’indagine, sfociato nelle prime misure interdittive e di sequestro eseguite a dicembre 2022. Mutangana, che vive all’estero, ad ogni modo, è pienamente coinvolto e indagato avendo usufruito, anche in un conto co-intestato all’ex moglie (non indagata), di rilevanti bonifici all’estero. Indagata per frode in pubbliche forniture anche l’altra figlia della ex Presidente di Karibu (da mesi organismo commissariato dal Ministero), Aline Mutesi.
Un’ordinanza cautelare, quella del gip del Tribunale di Latina, Giuseppe Molfese, che risulta persino più tenue rispetto alla richiesta della Procura di Latina per la quale Mukamitsindo, Mutangana, Murekatete e Rukundo andavano tutti arrestati e ristretti in carcere.
Un sistema, così lo definiscono gli inquirenti, fondato sull’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti per cui già la famiglia dovrà rispondere venerdì 3 novembre davanti al giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Latina, alla presenza delle parti civili che hanno fatto richiesta di costituzione: si tratta dei lavoratori ex Karibu e Aid che non sono stati pagati da coop e consorzio e che hanno perso il lavoro, del sindacato Uiltucs Latina che ha denunciato per primo la situazione, tra stipendi non pagati e altre irregolarità e, infine, dei commissari liquidatori di coop Karibu, Francesco Cappello, e consorzio Aid, Jacopo Marzetti, nominati dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy negli scorsi mesi.
Ma, ora, la situazione, emersa dalle indagini del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Latina, si aggrava per la contestazione di reati ancora più pesanti quali frode nelle pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale (per distrazione) e auto-riciclaggio.
I soldi erano al centro del cosiddetto sistema famigliare – o meglio, come la definisce il giudice, “una struttura delinquenziale organizzata a livello famigliare” – in cui le fatture false servivano a evadere le tasse e giustificare, secondo quanto sottolinea il Gip pontino, in sede di rendicontazione la richiesta di finanziamenti alla Direzione Centrale per lo Sprar, ossia il sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati. D’altra parte i soldi pubblici erano la benzina di Karibu e degli enti satelliti, come Consorzio Aid e la società Jumbo Africa verso la quale spesso venivano destinati i denari per triangolarli in conti esteri.
Consorzio Aid e Jumbo Africa erano schermi fittizi per portare a compimento “un illecito meccanismo fraudolento, a gestione famigliare“, a fronte di condizioni vergognose in cui venivano tenuti i migranti. Soldi, provenienti da Prefettura di Latina, (progetti Cas), Comuni pontini (progetti Sprar), Comune di Roma (accoglienza minori) e Regione Lazio (rete anti-tratta), che avrebbero dovuto essere utilizzati solo per loro, ossia i migranti, così da gestire Cas e Sprar e che invece finivano spesso per permettere alla famiglia lussi in ristoranti, gioiellerie e altri sfizi personali.
È sufficiente sapere quanti soldi arrivavano alla Karibu solo nel 2017 per capire la delicatezza di un ambito, quello della gestione migranti, ad alto rischio malcostume. In quell’anno Karibu ricevette quasi 7 milioni di euro; quasi 10 milioni nel 2018 e altri scarsi 7 milioni nel 2019. Diminuiscono considerevolmente i soldi pubblici ricevuti negli anni 2020, 2021 e 2022: rispettivamente un milione e mezzo, 325mila euro e 204mila euro.
Solo dalla Prefettura di Latina, dal 2017 al 2022, Karibu ha ricevuto la somma di quasi 3 milioni euro. Ecco, secondo il Gip, come dato oggettivo c’è che “buona parte del denaro non è stato adoperato per le finalità preposte“. A testimoniarlo non solo la scia dei soldi finiti in bonifici, carte prepagate e conti e di conseguenza in acquisti esorbitanti di capi d’abbigliamento Armani e Guess o gioielli, ma anche gli ex dipendenti come un uomo che lavorava al centro apriliano “Rehema”, il quale, nell’agosto 2018, riferì della situazione degli ospiti migranti con carenze igienico-sanitarie e strutture da terzo mondo, vieppiù “lesive di diritti fondamentali” degli ospiti (leggi di seguito, approfondimento di Latina Tu pubblicato nel 2019).
Si risparmiava sulle spese per i migranti e si spendeva per se stessi o comunque si trasferivano i soldi in conti a disposizione della famiglia Mukamitsindo. Questo è il succo dell’inchiesta che ha scandagliato tutte le destinazioni dei soldi elargiti dal pubblico. E la famiglia, tramite Karibu, avrebbe approfittato con “malafede” delle difficoltà organizzative degli enti pubblici, reiterando così tutte le violazioni contestate. Uno Stato e dei Comuni male organizzati che hanno permesso a una famiglia di fare un po’ come pareva a loro, sembra dire l’ordinanza della magistratura.
D’altra parte, la distrazione dei soldi per fini personali ha svuotato mano a mano la Karibu. L’anno peggiore è il 2018 con 208mila euro utilizzati per spese in ristoranti, gioiellerie, centri estetici, abbigliamento, negozi di cosmetica, anche all’estero. Secondo la Guardia di Finanza di Latina “si evidenziano bonifici verso l’estero per euro 472.909,41 negli anni 2017/2022, utilizzo di carte di credito e prepagate, intestate alla Karibu, ma adoperate per finalità private (ristoranti, gioiellerie, centri estetici, abbigliamento, negozi di cosmetica) per importi quali euro 93.976,99 nell’anno 2017. euro 208.394,92 nell’anno 2018, euro 49.946,48 nell’anno 2019; euro 13.803,40 nell’anno 2020; euro 2.177,16 nell’anno 2021“.
Tanto che una dipendente di un centro estetico di Latina, chiamata a sommarie informazioni da chi indagava, non ha faticato a riconoscere nelle foto mostratele dagli investigatori Liliane Murekatete, la cui passione per moda e gioielli era stata definita nei mesi addietro come “un diritto all’eleganza”. Copyright del marito, il deputato Soumahoro.
Le carte dove confluivano i soldi indicavano talvolta un dipendente della Karibu ma in realtà finivano nelle tasche dei quattro famigliari.
Non solo spese, ma, come detto, anche bonifici diretti all’estero e a favore di Mutangana e di conti intestati anche alla ex moglie di quest’ultimo (estranea all’indagine e, nei mesi scorsi, intervistata anche da tv e giornali nazionali). I due, Mutangana ed ex moglie, risultavano dipendenti di Jambo Africa, e i soldi che arrivavano venivano giustificati con le diciture di “rimborso anticipi pocket money” o “rimborso anticipato”. Solo che per gli inquirenti si tratta di distrazione di denaro pubblico verso l’estero e in particolare di Mutangana, che in realtà non ha mai svolto lavori per Karibu. Il figlio di Mukamitsindo utilizzava i soldi dei migranti in Ruanda per il suo supermercato o per il ristorante chiamato “Gusto Italiano”.
Tutti, comunque, rispondono dell’utilizzo privato di soldi pubblici e anche di non aver eventualmente vigilato su come gli altri componenti della famiglia utilizzavano questi soldi. E nessuno viene salvato poiché, in particolare Mukamitsindo, Murekatete e Rukundo erano membi del cda di Karibu, seppur in diversi periodi e con pieni poteri. Mutangana, in realtà, è descritto come un mero beneficiario dei soldi che gli inviavano dall’Italia direttamente su estero (principalmente in Ruanda) o passando per Jambo Africa. Un auto-riciclo di denaro che pare senza soluzione di continuità, alimentato da una famiglia che secondo il Gip “non ha fatto nient’altro rispetto all’attività criminale“. Per avere una idea Mutangana, ad esempio, tra il 12 aprile e il 24 aprile 2018 (in dodici giorni), riceve dai conti Karibu su estero la bellezza di oltre 13mila euro. Causale: associazione Jumbo Africa.
Il giudice per le indagini preliminari, che non accoglie la richiesta di carcerazione presentata dalla Procura, tuttavia specifica che per Mukamitsino e la figlia Murekatete devono essere applicati i domiciliari per due motivi principali. Entrambe rivestono tuttora cariche in società che hanno come core businness ambiti affini alla gestione migranti. La fondatrice di Mukamitsindo è Presidente del cda delal società Edelweiss di Nola, in Campania, e Presidente del cda della no profit “Karibuni Asbl”. La prima si occupa di assistenza residenziale. La moglie di Soumahoro, invece, è socia di un’altra società.
E peraltro, a motivare, l’ordinanza ci sarebbe il fatto che le due indagate non avrebbero “esitato a disfarsi della documentazione anche contabile ella coop Karibu”, dal momento che molto materiale è stato trovato dai Finanzieri nel punto di raccolta differenziata. E non è finita perché l’indagine potrebbe allargarsi poiché il commissario liquidatore di Karibu segnala maggiori distrazione di denaro.
Risulta risibile per il Gip di Latina anche la difesa di Murekatete che ha cercato di farsi passare come segretaria amministrativa, quando invece aveva i poteri gestionali della cooperativa. Ecco perché il caso della firma falsa è per il giudice “irrilevante”: la moglie del deputato del gruppo mistro “esercita poteri gestori su dipendenti, autorizza pagamenti, organizza per lei incontri istituzionali per nuovi sbocchi lavorativi (nda: come l’incontro con Sala, sindaco di Milano, e Majorino, europarlamentare, raccontato a ottobre del 2019 da Latina Tu, leggi link di seguito) e condiziona le riunioni del consiglio di amministrazione”.
Infine, il Gip definisce anche il sequestro di soldi di circa 2 milioni di euro: per l’esattezza, 1.942.684 euro. Ma attenzione perché il sequestro è nei confronti della Karibu e la cosa potrebbe complicarsi per gli indagati. Infatti, se il soggetto giuridico, ossia Marie Therese Mukamitsindo, risulterà incapiente, lo Stato si rivarrà sugli altri componenti della famiglia. Liliane Murekatete rischia di vedersi sequestrare la somma di oltre un milione di euro (tra le spese pazze contestate anche un safari in Africa); Rukundo fino a 948mila euro; Mutangana fino a 661mila euro.
Insomma un sequestro che fa il conto di tanti soldi spesi: anche in una sola serata, presso un noto ristorante nel centro di Latina, per 400 euro (l’Enoteca dell’Orologio, nella centralissima Piazza del Popolo a Latina); oppure gli oltre mille euro da Ikea a dicembre 2018; o i 1200 euro nella boutique di Latina a marzo 2018.
Appena qualche timido esempio – gli investigatori hanno catalogato spesa per spesa – di una gestione famigliare a botte di bonifici, costi extralusso e paghette (si fa per dire) estere che hanno lasciato senza lavoro i dipendenti e senza dignità i migranti ospitati tra Aprilia, Latina, Maenza e Roma.
Intanto, secondo quanto ricostruito, la famiglia spendeva nell’alta moda da Salvatore Ferragamo fino ai ristoranti noti del pontino: come il setino Barbitto a Sezze, il Foro Appio, Marechiaro oppure alberghi come l’Hilton e varie gioiellerie. Alcune delle spese sono individuate dai finanzieri in Belgio, un paese molto battuto sia da Murekatete che da Mukamitsindo.