“Angeli delle corsie”, supereroi, osannati e celebrati con murales, ma troppo spesso costretti a turni di lavoro gravosi e non sufficientemente pagati. E’ questa la tragica e surreale situazione dei medici ospedalieri italiani. Da anni, infatti, i continui tagli alla sanità operati indistintamente dai governi di ogni colore li hanno esposti a rischi e problematiche sempre più pressanti. Questo senza considerare ciò che hanno dovuto subire e sopportare durante il periodo più acuto della pandemia da Covid-19 che ha contribuito a scoperchiare il vaso di Pandora e far emergere tutte le criticità, molte delle quali presenti anche prima dell’emergenza sanitaria.
I medici ospedalieri hanno dovuto affrontare anche un peggioramento delle loro condizioni di lavoro che non sono state minimamente compensate. “Si chiede sempre di più ai medici ospedalieri, che ancora operano in condizioni lavorative e retributive non adeguate e vengono esposti ad elevati rischi determinati da più fattori”. Spiega a Interris.it la dottoressa Alessandra Moraca, responsabile nazionale per i medici ospedalieri (Smi), segretario regionale Marche Smi, vice presidente regionale Fvm (Federazione Veterinari e Medici) e dirigente Medico Sod Cardiologia Ospedaliera e Utic presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria delle Marche (Ancona).
Dottoressa Moraca, quando si è evidenziato il peggioramento delle condizioni di lavoro dei medici ospedalieri?
“Si è evidenziato soprattutto dopo la prima fase del Covid, quando le criticità presenti e denunciate prima della pandemia si sono palesate ancora di più, ma non sono state minimamente compensate. Si chiede sempre di più ai medici ospedalieri, di effettuare mansioni gravate da un rischio maggiore con lo stesso stipendio, già per altro non adeguato. Un esempio per tutti, l’utilizzo degli specialisti di altri reparti per sopperire la mancanza di personale dei Pronto Soccorsi che è sempre più carente dei medici che abbandonano”.
Il peggioramento delle condizioni di lavoro dei medici ospedalieri a cosa ha portato?
“Ad una vera e propria fuga dei medici ospedalieri dalla sanità pubblica, la stessa che, anziché tutelare i propri medici e i pazienti, sta permettendo che il fenomeno diventi inarrestabile. Solo per avere un’idea della gravità del problema dal 2019 al 2021, 8.000 medici hanno abbandonato l’ospedale per dimissioni volontarie e scadenza del contratto a tempo determinato, altri 12.640 medici non ci sono più per pensionamenti, decessi ed altro. E non finisce qui, nel 2021 si sono dimessi oltre il 39% dei medici ospedalieri in più rispetto al 2020: si parla di circa 3.000 medici che sono fuggiti dagli ospedali italiani. La media nazionale dei medici che hanno lasciato il SSN licenziandosi è stata del 2,9%, superata da regioni come Marche e Calabria al 3,8%, dal Molise e dalla Sicilia al 5,1%. Secondo un recente studio dell’Istituto Piepoli per la Fnomceo anche lo stato di salute dei medici è peggiorato dall’emergenza il 70% ha avvertito crescita di stress, 3 medici su 4 hanno difficoltà ad andare in ferie”.
Quali sono le principali problematiche che hanno innescato questo fenomeno?
“Si continua ad utilizzare ancora il blocco del turnover dopo anni di riduzione degli organici per il blocco di spesa del tetto del personale. Non è più pensabile avere medici con orari in più, a ferie non godute e delle volte perse, a carichi di lavoro sempre più pressanti che mettono a rischio la sicurezza delle cure. La maggior parte delle aziende ospedaliere ancora non hanno provveduto all’attribuzione o al rinnovo agli aventi diritto degli incarichi dirigenziali così come articolati nell’organizzazione e come previsto dal CCNL del 2019. Le colleghe in maternità ormai da anni non vengono sostituite gravando sui colleghi che rimangono e la mancata possibilità di avere un lavoro flessibile genera difficoltà alle madri per poter conciliare il lavoro con la vita familiare. Per non parlare dell’aumento del contenzioso medico-legale e della difficoltà nell’avere le coperture assicurative”.
Fra pochi giorni si avvieranno le contrattazioni per il rinnovo del CCNL ad isorisorse. Cosa significa questo?
“E’ evidente che un rinnovo del contratto peraltro tardivo, non dovrebbe essere peggiorativo rispetto a quello precedente, ma le premesse dell’atto d’indirizzo per il rinnovo del CCNL non fanno ben sperare. Il ministro Schillaci aveva promesso di inserire già dal 2023 l’indennità per il personale che opera nei Pronto Soccorsi, ma sembra che non ci sarà prima dell’anno successivo alla firma del contratto. Temiamo che le condizioni lavorative dei medici peggioreranno ulteriormente e se il sistema sanitario pubblico non riuscirà ad avere le risorse necessarie non potrà garantire la sua tenuta”.
Ma allora, come è possibile pensare di rinnovare un contratto di lavoro nazionale se non ci sono risorse?
“E’ quello che come sindacato ci chiediamo, ci sono delle condizioni imprescindibili, è chiara la necessità di adeguare ai tempi un nuovo modello di organizzazione del lavoro, di nuove politiche retributive, di incrementare il valore salariale delle prestazioni notturne e festive e delle prestazioni svolte al di fuori dell’orario contrattuale. Quelle dei medici ospedalieri sono retribuzioni non aggiornate con le medie europee, prive di interventi di defiscalizzazione del salario accessorio e del lavoro aggiuntivo. Sarebbe ragionevole avere finalmente una defiscalizzazione del loro lavoro”.
Cosa fare allora per tutelare i medici ospedalieri e quindi garantire la corretta funzionalità del sistema sanitario nazionale?
“Bisogna ridare dignità a questo lavoro, pensando alla standardizzazione di un sistema che valorizzi le competenze professionali e l’aumento del benessere organizzativo, che permetta la progressione di carriere, con riduzione della burocratizzazione e possibilità di dedicare più tempo al paziente. Un sistema che migliori le condizioni lavorative ora stressanti, determinate da pesanti turni di servizio, weekend sempre occupati da guardie e reperibilità, precariato protratto e stipendi inadeguati, molto al di sotto della media europea, con gratificazione economica proporzionale per chi lavora in aree più a rischio e più marginali. Tutto ciò al fine di non andare incontro all’ingovernabilità e all’insostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale che nato con la legge 833 del 23-12-1978 ha garantito fino ad oggi universalità nelle cure, uguaglianza, ed equità senza nessuna distinzione di condizioni sociali ed economiche. Sarà proprio il rinnovo di questo CCNL a dimostrare se ci sarà la volontà politica di proseguire in questa direzione a tutela degli operatori del sistema sanitario e dei cittadini italiani”.
In Terris
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