Oggi, la Giornata internazionale della donna andrebbe celebrata innanzi tutto nelle scuole al fine di rendere il tema realmente centrale per le nuove generazioni. Per i cristiani il supremo modello di tutte le donne è Maria Santissima che segna la rinascita di una nuova umanità plasmata nel suo grembo verginale. In questa giornata il nostro pensiero si rivolge alle tante bambine, giovani donne che subiscono in alcune parti del mondo infibulazione e tante altre forme di violenze inaudite. Le piccole donne minorenni vittime di tratta o a disposizione di uomini che senza scrupoli le mercificano per scopi sessuali. Come non pensare al grido di libertà che proviene dalle tante donne che vivono nei Paesi dove a causa della dittatura non hanno la possibilità di studiare o addirittura non possono neanche scegliere come vestirsi, cosa dire, con chi rapportarsi.
La donna in Occidente, in alcuni casi viene ancora considerata un oggetto in una società dove la mentalità maschilista continua ad essere preponderante. Le cronache quotidiane descrivono la “via crucis” dei femminicidi evidenziando l’urgenza di difendere quello che San Giovanni Paolo II definiva il “genio femminile”. Fermare l’emergenza sociale della violenza di genere deve essere una priorità per l’intera comunità. Serve, infatti, un solido argine di civiltà affinché le istituzioni e le associazioni cooperino sempre più per non far sentire sole le donne. Francesco testimonia nel suo infaticabile apostolato della misericordia come lo sfruttamento del corpo femminile non sia “un semplice reato”. Proteggere la dignità delle donne è incompatibile con qualsiasi forma di indifferenza di fronte all’abuso. Una sollecitudine costante del Magistero pontificio è quella di far cessare ogni violenza e sfruttamento contro le nostre sorelle. Stop, quindi a “un crimine che distrugge l’armonia, la poesia e la bellezza che Dio ha voluto dare al mondo”. Il Santo Padre considera l’abuso qualcosa che “va oltre la relazione distorta tra un uomo e una donna”. Le varie declinazioni di maltrattamento rappresentano “una vigliaccheria e un degrado per gli uomini e per tutta l’umanità”. Perciò non si può guardare dall’altra parte. Invece di cedere all’ignavia delle complicità e dell’omertà, vanno condivise azioni concrete contro “un fenomeno dalle pieghe subdole e coercitive”.
La Chiesa è chiamata a dare voce a coloro che non riescono a verbalizzare la propria sofferenza, imprigionate come sono da sopraffazioni di genere e pesanti catene psicologiche. “Mai più morte e sfruttamento!”, invoca Jorge Mario Bergoglio. Le nostre madri, mogli, sorelle e figlie devono essere rispettate, riconosciute e coinvolte. Per questo c’è bisogno ovunque di un 8 marzo autenticamente inclusivo. A partire dalle tragedie della tratta nel Mediterraneo e lungo le rotte latinoamericane, asiatiche e africane della disperazione. Per esempio alla frontiera del Messico tragicamente nota proprio per i femminicidi, dove da trent’anni si registra il più alto tasso di morti di giovani ragazze, tanto che il fenomeno è stato definito da più parti un vero genocidio di genere. Nel moderno Calvario di Ciudad Juarez le croci rosa visibilmente segnano questo atroce supplizio. Lì Francesco, durante la missione nelle tragedie delle migrazioni, si interrogò: “Che dire di tante donne alle quali hanno strappato ingiustamente la vita? Chiediamo a Dio il dono della conversione e delle lacrime”. Nella società del terzo millennio globalizzato la donna, deplora Francesco, rimane ancora in secondo piano, quindi “diamoci da fare tutti per proteggere le generatrici della vita”.
Mi piace, in conclusione citare una frase della bellissima enciclica di San Giovanni Paolo II, “Mulieris dignitatem”: “La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna – proprio a motivo della sua femminilità – ed esso decide in particolare della sua vocazione”.
Qualunque donna, di ogni età e in qualsiasi condizione ha nelle sue viscere il dono della maternità che vuol dire capacità di accogliere, di educare e di accompagnare l’altro a diventare figlio di questa umanità. Amare, rispettare e difendere la donna non è un semplice dovere bensì il naturale modo di concepire l’esistenza e il bene comune.