Con la morte di Matteo Mesina Denaro, l’efferato stragista di Cosa Nostra deceduto nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, non muore anche la mafia. Il boss corleonese è, utilizzando le parole del magistrato cacciatore di latitanti Alfonso Sabella, “l’ultimo esponente della mafia che ha sferrato un colpo allo Stato con le stragi” e con la sua morte si chiude sicuramente una stagione stragista di sangue e orrore cominciata dopo le stragi del 1992. Purtroppo, la mafia sopravvive ai suoi capi.
E ciò è ancora più vero nell’attuale momento storico, caratterizzato dal nuovo volto della mafia: non più stragista ma imprenditoriale. La crescente propensione imprenditoriale dei sodalizi è riconducibile a quasi tutte le matrici mafiose. Come leggiamo nelle ultime relazioni della Direzione investigativa antimafia, che forniscono l’analisi su come si stanno evolvendo le organizzazioni criminali, “la criminalità organizzata lavora costantemente per ampliare le proprie capacità di relazione e sempre più in sinergia con il mondo degli affari, e sempre più sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione”.
La mafia ha, infatti, rinunciato alla violenza: non uccide più magistrati e rappresentanti delle Forze dell’ordine, piazzando ordigni nei palazzi e nelle autostrade; oggi penetra direttamente nel tessuto produttivo ricorrendo alla corruzione e alla collocazione nel mercato.
Invero, la mafia ha ridotto al minimo l’uso delle armi e, grazie alla capacità imprenditoriale, dovuta agli enormi capitali illeciti accumulati si muove nell’ambito degli appalti, l’accesso ai fondi pubblici, il riciclaggio del capitale illegale; avendo affinato le modalità di azione e cambiato gli interessi, gli uomini di cui si avvale non sono più solo i sicari, gli spacciatori di droga, la manovalanza dello sfruttamento della prostituzione.
Il settore di fondamentale interesse di tutte le organizzazioni mafiose per riciclare il denaro proveniente dal traffico internazionale di sostanze stupefacenti sono gli appalti pubblici. Altro terreno prediletto è quello della gestione dei rifiuti.
I delitti in aumento sono, infatti, quelli connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, le infiltrazioni nei settori produttivi e l’accaparramento di fondi pubblici. E proprio gli ecoreati sono quelli che inquinano l’economia, l’ambiente e rubano il futuro. Ebbene, in questo passaggio della mafia, dalla fase stragista a quella imprenditoriale, è ancora più facile sopperire alla singola mancanza di un capo attraverso la forza del sistema.
Davanti a questo nuovo volto della mafia la ricetta di Giovanni Falcone si rivela ancora più attuale: la lotta contro le organizzazioni mafiose non può oggi prescindere da una fattiva collaborazione tra tutte le Istituzioni interessate perché “la mafia non si sconfigge solo con la repressione, ma con la scuola, la formazione e la cultura”.
La lotta alle mafie impone una grande sfida educativa, perché solo la scuola e le nuove generazioni possono sconfiggere la cultura mafiosa che baratta la dignità per danaro. La scuola è il luogo in cui si forma la cultura dello Stato e delle Istituzioni ed è, pertanto, il primo presidio contro il dilagare dell’illegalità.
Soprattutto in questa era in cui le relazioni reali e umane sono state sopraffatte da quelle virtuali, generate dai cellulari e dai social network, l’unica alternativa possibile contro il dilagare della criminalità è la scuola, perché, esattamente come dice Suor Anna Monia Alfieri: “Il libro strappa i picciotti alla mafia”.
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