Papa Francesco avrebbe voluto essere a Dubai all’apertura della Cop28. Problemi di salute lo hanno trattenuto in Vaticano; ma la sua voce l’abbiamo portata nel cuore, quando abbiamo avuto l’onore di raccontare, proprio a Dubai, durante la Cop28, l’avventura della ricostruzione in corso, nei territori dell’Italia centrale colpiti dal sisma del 2016-2017. Ricostruire innovando, è l’orizzonte in cui ci stiamo muovendo, e anche per questo la nostra opera è diventata una “case history” internazionale per indicare un modello di adattamento agli effetti della crisi climatica in atto.
Pochi giorni prima dell’apertura della Cop28 il Santo Padre ci ha fatto l’onore di ricevere in udienza speciale i rappresentanti delle comunità di questi territori feriti dal sisma. E ci ha confortato, riconoscendo l’energia del nostro impegno: “Possiamo, grazie alla vostra perseveranza e lungimiranza, parlare anche di significativi passi avanti nella ricostruzione. In questi anni – ci ha detto papa Francesco – avete dimostrato che lo spirito di collaborazione può vincere ostacoli e incertezze, costituendovi “in un “noi” che abita la Casa comune”.
Ci ha rivolto tre raccomandazioni: attenzione alla sostenibilità, attenzione alla natura, attenzione ai cambiamenti climatici. E una indicazione: “Significa rimettere la persona al centro della città: è questa la via da seguire. È la via che potrà aiutare anche ad affrontare le crisi dello spopolamento e della decrescita demografica”.
Contrastare la crisi demografica
Gli effetti della crisi climatica in atto si possono contrastare, contrastando la crisi demografica e lo spopolamento, perché solo la presenza dell’uomo può costituire un presidio attivo e responsabile nelle aree interne dove le fragilità idrogeologiche dei territori si moltiplicano di fronte all’abbandono e all’inselvatichimento.
Sono le questioni che sono quotidiana materia di confronto e di riflessione in quel laboratorio involontario che si è creato nel cuore dell’Appennino centrale, in Italia nel cantiere della ricostruzione. È urgente un’azione decisa per adattare il territorio italiano ai cambiamenti climatici: un Paese per due terzi montano circondato dal mare che si sta riscaldando più velocemente di tutti al mondo, il Mediterraneo. Una combinazione che espone tutto il Paese a rischi disastrosi per i cittadini, le infrastrutture e le imprese. Una combinazione di fragilità che condividiamo con altre aree del Sud dell’Europa: dalla Spagna alla Grecia, fino ai Balcani, dove le aree interne, montuose, finiscono per essere più esposte agli effetti combinati di un mare che si riscalda, e di un clima che diventa tropicale.
È urgente tornare a occuparci del nostro territorio che poi è quel paesaggio che oggi possiamo ritrovare solo nei quadri del Rinascimento. Quelle aree interne che hanno costituito la culla della civiltà europea (non solo italiana). Per queste ragioni l’azione di riparazione del territorio associata a quella di ricostruzione di un cratere sismico riveste una valenza strategica fondamentale come modello.
Una best practice internazionale
Il riconoscimento internazionale dello sforzo che stiamo compiendo – documentato dalla “case history” che abbiamo esposto nel padiglione Italia a Dubai, e riconosciuto dagli ultimi report della Bei, necessari alla prosecuzione dei finanziamenti in atto – diventa uno stimolo in più per un intervento che può diventare “di scuola” non solo per l’Italia, ma per tutte quelle aree interne afflitte da una crescente fragilità idrogeologica, dove l’innalzamento delle acque dei mari si combina con la devastazione delle acque che scendono dai pendii dei monti.
Il monito che ci ha rivolto il Papa coincide con la nostra missione, diventata best practice internazionale a Dubai: “Vi incoraggio nel vostro proposito di fare della ricostruzione un’opportunità anche in questo senso: per rimediare agli errori del passato e impostare in modo diverso i piani di crescita per il futuro. È un’urgenza, credo, per tutta l’Italia. Accanto all’impegno per la natalità, quello per la sicurezza idrogeologica rappresenta un bisogno vitale, reso ancora più necessario dall’accelerazione dei cambiamenti climatici”.
L’uomo garante della natura
Non c’è possibilità di difendere la Natura senza una presenza attiva dell’Uomo. Questa è la via che dobbiamo segnare e intraprendere per un ecologismo che non prescinda dall’Uomo, anzi, lo rimetta al centro, con responsabilità e ragionevolezza, come garante delle radici del passato e condizione per lo sviluppo dei germogli del futuro. Una transizione ecologica non ideologica ma pragmatica, come ha rammentato Giorgia Meloni proprio all’apertura della Cop28.
Questa via si incentra sulla consapevolezza che l’equilibrio uomo-natura è da ricercarsi nella riscoperta, attualizzata, dell’uso intrinsecamente sostenibile delle risorse naturali. La globalizzazione ha provocato un abbandono diffuso dei territori che, a causa dei cambiamenti climatici, sta esponendo a forti rischi tutti i Paesi del Mediterraneo.
La riparazione dei nostri territori – quindi ricostruzione, ma anche rigenerazione socio-economica – deve essere condizione per non abbandonarli, per abitarli, per viverci. Non basta impegnarsi nelle misure di adattamento ai mutamenti climatici, ma dobbiamo accentuare l’impegno per la mitigazione. E il primo impegno è creare – e ricreare – un posto dove vivere (come ho raccontato in un pamphlet scaricabile gratuitamente dalle piattaforme editoriali online).
Serve una visione che superi il presente, per avere il coraggio del futuro. Cito ancora la premier, nel suo intervento all’apertura della Cop28: “Siamo tutti consapevoli che molti degli sforzi che facciamo oggi daranno risultati visibili solo quando molti di noi non avranno più ruoli di responsabilità. Ma lo facciamo comunque, non per noi ma per chi viene dopo di noi. Come ha detto Warren Buffet: ‘C’è qualcuno seduto all’ombra di un albero oggi, perché qualcun altro ha piantato un albero molto tempo fa’”.
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