Un decreto legge, palesemente anticostituzionale, ha vietato elezioni democratiche, ha privato della propria politicità e rappresentanza diretta enti costituzionalmente riconosciuti, ha disatteso non un principio costituzionale bensì una buona decina, ha ridotto a titolo onorifico cariche prima rappresentative del popolo sovrano. Lo ha fatto con l’inesperienza di un novizio universitario, mal celando presunzione e supponenza, vaticinando il rischio gravissimo di default (ha tentato di sostenere imbarazzata l’Avvocatura dello Stato innanzi alla Consulta). Un default che con il riordino delle Province, i cui costi incidono per 1,37% della spesa pubblica, avremo miracolosamente scampato. Troppo facile raccontare la favola della Provincia aulicamente decritta da Merlo come “ente inutile degli stipendi inventati, del nascondimento della disoccupazione e delle clientele, la piccola patria degli uscieri, il centro di spesa del keynesismo straccione ha questa misteriosa facoltà di resurrezione, garantita addirittura dalla Corte costituzionale”.
Un encomiabile esercizio di stile fine a se stesso del prode giornalista, al quale sembra essere sfuggito -oltre che il rispetto per milioni di persone che lavorano onestamente anche per servire gente come lui, per garantire ai suoi figli o nipoti una scuola, o semplicemente un area verde o una pista ciclabile- quanto la Consulta non abbia affatto garantito la resurrezione delle Province, ma solo i diritti che la Carta Costituzionale riconosce loro, al pari e con la medesima forza della libertà di pensiero e di espressione assicurato ad ogni sorta di giornalista, liberi persino di lanciare strali velenosi da colonne privilegiate di quotidiani più o meno noti. Diritti che non sono forma, ma sostanza di questo Stato che crediamo ancora -a dispetto del pensiero di Merlo e di tanti come lui- democratico. Il diritto è diritto, e non sarà la contingenza politica o lo stato emergenziale ad affievolirne la cogenza o la effettività. Forma, è il bello stile per nascondere l’ignoranza che il Merlo serba nei confronti delle Province italiane, di cui scrive ma non conosce -al pari di chi si unisce al suo squallido coro- le competenze e le attribuzioni che le Province esercitano, i servizi che offrono ai cittadini, la qualità delle strade provinciali o delle scuole, dei centri per l’impiego che non c’è, e che li ha ridotti piuttosto a “centri di ascolto” delle difficoltà in cui versano le famiglie italiane. Parlano come Merlo, il Presidente Letta ed il Sottosegretario Patroni Griffi, il Ministro del riordino, lo specialista in decretatazione d’urgenza, pur non avendo mai dovuto cimentarsi con responsabilità dirette nei confronti del cittadino. Responsabilità quotidiane che esigono risposte immediate, concrete e non meri esercizi di eloquenza sterile ed inconcludente. Vengano questi signori in Provincia a toccare con mano la realtà di cui scrivono o di cui parlano senza sapere, a conoscere l’80% delle strade italiane gestite da questi enti, con gallerie, viadotti, ponti e infrastrutture connesse, gli oltre 5000 edifici scolastici gestiti da questi enti, od ancora vengano a toccare con mano la responsabilità delle competenze in materia di coordinamento della protezione civile locale, in materia di valutazioni di impatto ambientale, provvedimenti necessari per permettere la realizzazione di progetti di infrastrutture di una certa rilevanza o con prescrizione di legge, della tutela delle risorse idriche ed energetiche, di organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, di piani di programmazione del territorio provinciale, di trasporto locale. Oggi si vaticina l’abolizione delle Province calpestando la Costituzione come carta straccia inadeguata ai tempi moderni, un inizio verso un declino che allora non salverà nessuno, nemmeno il diritto di pensiero o di espressione che così poco elegantemente ha esercitato l’esimio giornalista. Oggi inibiscono libere elezioni degli organi provinciali, poi cosa si arriverà ad impedire, vietare, limitare in nome dell’emergenza o della crisi della politica! Smettiamola di parlare: non è con l’abolizione delle Province che salveremo l’Italia, che copriremo l’incapacità della politica di dare risposte ad un Paese che muore mentre illustri governanti e giornalisti perdono tempo prezioso in “soluzioni creative”, sbandierate come panacea dei nostri mali, ma insostenibili e mal confezionate solo per continuare a nascondere verità scomode. Non occorre aggredire in modo tanto livoroso i principi costituzionali, sacrosanti oggi per le province, domani per regioni o comuni e per la libertà di stampa, con cui campa il Merlo de La Repubblica, per dare un segnale forte al Paese ed invertire la marcia. Se davvero si volesse eliminare il costo vivo della politica -ma è evidente dalle reazioni all’indomani della decisione della sentenza, quanto questo non sia affatto una priorità del Governo- basterebbe guardare con lucidità agli oltre 7000 ENTI STRUMENTALI (Consorzi, Aziende, Società) che occupano CIRCA 24 MILA PERSONE NEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE E I CUI COSTI (compensi, spese di rappresentanza, funzionamento dei consigli di amministrazione) che nel 2010 ammontavano a 2,5 miliardi. Eliminare questi enti consentirebbe un RISPARMIO IMMEDIATO PARI A 22 VOLTE QUELLO CHE SI OTTERREBBE ABOLENDO LE PROVINCE. Senza contare poi che 318 mila persone hanno incarichi di consulenza nella Pubblica Amministrazione e per questo lo Stato ha speso nel 2009 circa 3 miliardi di euro. Un riordino meno demagogico sarebbe partito dalla eliminazione di questi enti e società, che duplicano e si sovrappongono alle funzioni fondamentali di istituzioni riconosciute dalla Costituzione, come è il caso delle Province, i cui rappresentanti sono eletti direttamente dal popolo ed al popolo rispondono.
E’ infatti di tutta evidenza il carattere devastante dell’esistenza di una miriade di organismi, agenzie, ATO, consorzi ed enti di secondo grado, proliferati in questi anni al di fuori dei livelli di governo individuati dal titolo V della Costituzione, non allo scopo della gestione associata di servizi, che seppur in alcuni casi risultata virtuosa, ha determinato una disgregazione della governance organica del territorio e delle sue risorse moltiplicando, i posti ed i costi della politica.
E così ci troviamo di fronte a 222 ATO di acque e rifiuti, 191 Consorzi di Bonifica, 63 Bacini Imbriferi, innumerevoli Agenzie, per un totale di 3.127 enti ed UNA SPESA PARI A 7.026.105.352 EURO, il cui operato è del tutto sottratto al giudizio del cittadino elettore.
Un vero e proprio salasso per i conti pubblici di cui nessuno parla, preferendovi i costi delle Province il cui riordino stimava l’allora Ministro Giarda, nel suo rapporto di fine mandato avrebbe comportato un risparmio di 500 milioni. 7.026.105.352 EURO sono una risorsa, caro Presidente Letta, che da sola basterebbe a risolvere, subito, il problema dell’IVA e dell’Imu e che rappresenterebbe un segnale forte senza dover andare ad intaccare principi fondamentali, senza depauperare il nostro Paese di una democrazia tanto necessaria, quanto cara alla nostra Costituzione, ma vilipesa da manovre scadenti, raffazzonate e maldestre, ispirate da un anacronistico revivment di stato centralista, affidato alle tecnocrazie burocratiche lontane dai reali bisogni del Paese. Trovo curioso che nessuno, non giornalisti di cotanta fama, chiedano il conto a quei Ministri, oggi ancora tra le fila del governo, che imposero, con un Decreto Legge ed un voto di fiducia, una riforma tanto pasticciata e cialtrona. Non stupisce allora il servilismo sciocco di chi è forte con i deboli e pavidi con i potenti! Ci sono molte ragioni per nutrire preoccupazioni e timori, ma la più grande che dovremmo avere è quella dell’immobilità conservatrice, che accentra i poteri, disconosce le autonomie, inibisce il pluralismo democratico!
Armando Cusani