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L’origine dell’impegno e delle scelte dei cattolici in politica

scritto da Redazione
L’origine dell’impegno e delle scelte dei cattolici in politica
Ho iniziato a fare politica nel mio paese di origine Grammichele in provincia di Catania a circa sei anni, perché mio padre era contemporaneamente presidente dell’Azione Cattolica ed iscritto alla Democrazia Cristiana; quindi posso dire che ho respirato politica già da piccolo a casa. Ricordo che quando a sette anni la Democrazia Cristiana perse alle elezioni comunali, mi sono messo a piangere. Poi sono entrato in Seminario a Caltagirone. Ricordo che in occasione delle elezioni si faceva politica militante. Infatti in quelle circostanze tutto il Seminario si mobilitava: si faceva vacanza per una settimana e il tempo era impiegato per scrivere indirizzi, imbustare, spedire e distribuire materiale elettorale, soprattutto fac-simile elettorali. Poi la notte tra la domenica e il lunedì venivano i soci dell’Azione Cattolica per comunicare coloro che non si erano recati ai seggi.

Erano già pronti i volantini che si andava a mettere sotto le porte delle case di costoro: con essi si invitava a recarsi al seggio, ricordando che altrimenti si sarebbe fatto peccato mortale. Inoltre nel giorno delle votazioni si andava a prendere a casa i ciechi, i malati, quanti non potevano andare da soli e li si accompagnava a votare. Ma dobbiamo dircelo chiaramente: questo impegno così capillare nel 1948 ha salvato l’Italia, consentendo alla DC di vincere le elezioni. Per motivi contingenti ho scelto di fare la tesi di dottorato su don Luigi Sturzo sul tema: “Fede e impegno politico in don Luigi Sturzo”. E mi sono occupato soprattutto della formazione di Sturzo nei primi anni, fino al 1905 anno in cui è diventato sindaco. Questo mi ha dato l’occasione per studiare e riflettere sulla storia del Movimento Cattolico.

Nel Movimento Cattolico c’è stato un cambiamento di orientamento. Dalla metà dell’800 fino al 1918 vigeva il non expedit, cioè ai cattolici era proibito partecipare alle elezioni politiche, ma non a quelle comunali. Perché si riteneva che lo Stato italiano fosse un usurpatore, che aveva cioè sottratto il potere della Chiesa, che era massonico e contrario ai principi della Chiesa: e quindi i cattolici non potevano esserne complici. In realtà non tutti i cattolici ubbidivano; infatti subito dopo con il c. d. Patto Gentiloni i cattolici votavano quei candidati che si impegnavano a sostenere alcune loro richieste. Poi ci fu il periodo fascista. Il Partito Popolare costituito nel gennaio del 1919, già a novembre alle elezioni prese cento deputati, perché votavano solo gli uomini. Se avessero votato anche le donne probabilmente il fascismo non sarebbe andato al potere. Il Partito Popolare non era il partito dei cattolici italiani, era un partito di cattolici con un programma molto definito, aperto a tutti coloro che si riconoscevano in questo programma.

Per cui Sturzo diceva più o meno così: se i conservatori cattolici non approvano il voto alle donne, non approvano la libertà educativa, non approvano la giustizia sociale, sono fatti loro, ma noi proponiamo il nostro programma a tutti. Era un partico laico di ispirazione cristiana. Nel 1948 i vescovi italiani imposero ai cattolici l’obbligo di andare a votare, perché si trattava di difendere dei principi fondamentali, come quello della libertà, in particolare della libertà di culto e quindi della libertà della Chiesa. Poi dopo è venuta tutta la storia del partito della Democrazia Cristiana che in verità anche se era votato dalla maggior parte dei cattolici, non era il partito dell’unita politica dei cattolici. I cattolici già in quegli anni votavano per vari partiti, dal Partito liberale al Partito comunista e queste persone erano tuttavia convinte di essere cristiani all’interno di quei partiti ove militavano.

L’impegno e le scelte dei cristiani nel mondo derivano dal Mistero dell’Incarnazione, in cui l’umano e il divino sono uniti senza essere confusi e senza essere separati. Questo significa evitare due pericoli: da un lato la divisione che porta al laicismo, dall’altra parte la confusione tra fede e politica, che porta all’integrismo. Questo a partire dal Concilio di Calcedonia. Ripeto: è una conseguenza del Mistero dell’incarnazione che continua poi nella Chiesa. E’ molto utile a tal proposito rileggere il libro di don Giussani: “Dio, il potere e le opere” e la prefazione al volume di don Francesco Ventorino “Luigi Giussani. Il coraggio della Speranza”.

Tempo fa sono stato mandato dalla Conferenza Episcopale in Bosnia Erzegovina per visitare le scuole cattoliche di Sarajevo. Lì esiste un sistema di scuole cattoliche collegato con un consiglio di amministrazione di indirizzo presieduto dal vescovo ausiliare cui partecipano salesiani, gesuiti e tutti i rappresentanti delle congregazioni che gestiscono scuole. Queste scuole sono d’avanguardia con alunni in maggioranza mussulmani; le paga lo Stato che è mussulmano attraverso la bolletta energetica. Ma in tutta Europa lo Stato sostiene in varie forme le scuole che non gestisce direttamente. Quando si dice che l’Italia deve entrare nel novero dei paesi civili a cosa si vuole fare riferimento? La famosa frase della Costituzione “senza oneri per lo Stato” si riferisce alla loro costituzione non al loro mantenimento. Ma far capire tutto ciò ai politici è molto difficile. Ecco perché in politica è importante oltre la coerenza, anche la competenza.

La corruzione, la criminalità, la mafia, sono altre sfide con cui dobbiamo fare i conti. Qualche anno fa con il Prefetto Claudio Sammartino abbiamo pubblicato un libro “Dialogo sulla corruzione” in cui a partire dal Magistero sociale della Chiesa abbiamo spiegato come la corruzione corrompe il corpo sociale e non fa avere fiducia nella politica. Un’altra priorità sono i giovani. Su questo aspetto insiste parecchio il documento dei vescovi siciliani. Che ho citato prima. La maggior parte dei nostri giovani, anche i più istruiti, sulla cui formazione anche lo Stato ha investito molto, vanno via dalla Sicilia. Questo provoca un fenomeno strano che mi ha fatto presente un economista. Una volta quando c’erano gli emigranti che andavano in Italia o all’estero per lavorare inviavano nei paesi di origine le rimesse, cioè quanto guadagnavano, detratte le spese per il loro sostentamento. E questi erano soldi che contribuivano allo sviluppo dei nostri paesi, per esempio hanno prodotto uno sviluppo dell’edilizia, delle strade, perché venivano con le macchine, dei mezzi di comunicazione, perché si installava il telefono in ogni casa. Oggi accade l’inverso: i ragazzi che vanno fuori a studiare hanno bisogno del sostegno economico dei genitori per vivere. Questo impoverimento oltre che umano e sociale è di natura economico. Questi sono soldi che invece che essere investiti in Sicilia sono investiti altrove.

mons. Michele Pennisi

In Terris

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