La tragedia accaduta ieri a cento metri dalle coste calabresi è l’ennesima vergogna di un assassinio internazionale annunciato. Dov’era l’Europa mentre l’umanità affogava a pochi minuti dalle porte del Vecchio Continente? Si potevano salvare decine di vite umane e non è stato fatto. Non è bastato l’eroismo dei soccorritori a scongiurare una disfatta di un’intera civiltà. “Ho saputo con dolore del naufragio avvenuto sulla costa calabrese, presso Crotone. Già sono stati recuperati 40 morti, tra cui molti bambini- ha detto papa Francesco ieri all’Angelus-. Prego per ognuno di loro, per i dispersi, per gli altri migranti sopravvissuti. Ringrazio quanti hanno portato soccorso e coloro che stanno dando accoglienza. La Madonna sostenga questi nostri fratelli e sorelle“.
Naufraghi come San Paolo. Centro simbolico del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Papa Francesco sente che solo uno stile di accoglienza e di solidarietà consente alla Chiesa di essere la Chiesa di Cristo e del Vangelo. Una finalità di inclusione che emerge dallo stile di “comunione”. La misericordia di Dio verso l’uomo è il segno più grande dell’amore per ogni sua creatura. Questo tratto distintivo, il più profondo nella dimensione della fede cristiana, è costitutivo della “Chiesa in uscita” proposta da Francesco che è l’aggiornamento della “Chiesa in ascolto della storia” del Concilio Vaticano II. E’ l’essenza del messaggio di salvezza di Cristo al mondo spesso sordo e indifferente.Il Mediterraneo è il più grande cimitero d’Europa, ripete papa Francesco. Il Pontefice ha ricordato in numerose occasioni il naufragio nel Canale di Sicilia del 18 aprile 2015 in cui persero la vita almeno mille persone migranti. E nel porto di Augusta una cerimonia civile e religiosa consacrò il relitto come monumento della memoria. Un simbolo che obbliga ogni uomo e donna di buona volontà a cambiare il mondo. Un pungolo per le coscienze, l’emblema di tutte le tragedie, conosciute e non, che hanno riguardato uomini, donne e bambini costretti ad abbandonare le proprie terre per cercare una vita migliore.La voce al telefono è una rasoiata al cuore. Ignazio Mangione descrive l’apocalisse in cui lui e gli altri operatori della Croce Rossa Italiana sono precipitati ieri mattina all’alba a Steccato di Cutro, a venti chilometri da Crotone. A salvarsi sono stati i più fortunati e i più forti. A decidere tra la vita e la morte è stato il destino oltre alla capacità di sopravvivenza dei singoli. A fare la differenza è stato il punto del barcone in cui si trovavano al momento dell’impatto fatale. Chi stava all’interno non ha avuto scampo. A soccombere sono stati quelli che viaggiavano stipati nella stiva. Quelli che stavano fuori sono riusciti a saltare in mare e si sono salvati. Tutti gli altri sono rimasti incastrati all’interno del peschereccio e “sono morti come topi”. I naufraghi sopravvissuti sono dei miracolati. “Li abbiamo trovati in condizioni terribili, già provati prima della tragedia da un viaggio orrendo dalle coste turche con un mare in burrasca- racconta Mangione-. Sono tutti asiatici, in prevalenza di nazionalità afghana e pakistana. Stiamo cercando di raccogliere le loro testimonianze ma sono sotto shock”. Tra le vittime ci sono diversi bambini. L’aspetto più doloroso è la casualità. A seconda del punto in cui si trovavano al momento del naufragio le persone sono morte o si sono salvate. La situazione di coloro che erano intrappolati nella stiva era disperata. Sono affogati bloccati all’interno del barcone. Con loro affonda l’umanità di un continente.
In Terris
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