I risultati del tavolo tecnico istituito dal governo per la mappatura delle spiagge sono stati subito smentiti da Bruxelles, che ha smontato il lavoro delle ultime settimane punto per punto. Ora l’esecutivo ha quaranta giorni per riordinare la disciplina in linea con i principi della direttiva Bolkestein
I risultati del tavolo tecnico istituito dal governo per la mappatura delle spiagge italiane non sembrano pertinenti e considerando gli elementi individuati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea e dal Consiglio di Stato, per la Commissione europea è evidente che quanto meno per una parte delle proprietà demaniali disponibili per le attività turistiche in cui sono rilasciate concessioni balneari «esiste un elemento di scarsità».
Non lascia spazio ad altre interpretazioni il parere motivato che Bruxelles ha inviato il 16 novembre al governo italiano e che avvia ufficialmente la procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese.
Il tavolo tecnico che ha coinvolto diversi ministeri e ha richiesto mesi di lavoro non ha prodotto risultati pertinenti che potessero dimostrare la non scarsità della risorsa.
Sembra cadere quindi l’intera strategia di Palazzo Chigi secondo cui la direttiva Bolkestein non sarebbe applicabile alle concessioni demaniali in quanto mancherebbe l’elemento di scarsità della risorsa spiaggia. L’interlocuzione proseguirà ma da Bruxelles hanno fatto capire su quali presupposti si baserà la trattativa.
L’esecutivo ha finito inevitabilmente per scontrarsi contro la normativa comunitaria e contro la Commissione europea, che già in molte occasioni aveva ribadito in maniera chiara la propria posizione.
L’Italia ora avrà due mesi di tempo per rispondere al parere motivato, tenendo presente che quella indicata da Palazzo Berlaymont non è la deadline più ravvicinata.
Il 31 dicembre infatti scadrà il termine fissato dalle sentenze del Consiglio di Stato 17 e 18 del 2021 entro il quale il governo dovrà riordinare la disciplina in linea con i principi della direttiva Bolkestein.
Palazzo Chigi dovrà fare in fretta e provare a mettere in piedi un sistema di gare in poco più di quaranta giorni, dopo aver passato l’ultimo anno perpetrando una strategia che ha condotto in un vicolo cieco.
In più c’è la figuraccia con Bruxelles: la Commissione nel proprio parere motivato smonta punto per punto il lavoro del tavolo tecnico. Oltre a ribadire per l’ennesima volta quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel 2016 e dal Consiglio di Stato nel 2021, il documento di Palazzo Berlaymont osserva come i risultati non siano idonei a dimostrare che su tutto il territorio italiano non vi è scarsità di risorse naturali oggetto di concessioni balneari. E questo in quanto il lavoro del Governo non riflette una valutazione qualitativa delle aree in cui è effettivamente possibile fornire servizi di concessione balneare e non tiene conto delle situazioni specifiche a livello regionale e comunale.
Che la mappatura prodotta dall’esecutivo si basasse su parametri quantomeno dubbi sembrava abbastanza chiaro. Le perplessità che solleva la Commissione sono le stesse che avevamo ipotizzato su queste pagine ad inizio ottobre. Quel trentatré per cento individuato da Palazzo Chigi infatti è stato calcolato sulla quasi totalità della costa italiana e non sulle sole aree balneabili. Sono stati presi in considerazione anche i tratti di costa rocciosa, quelli non accessibili, le spiagge non appetibili per motivi oggettivi o quelle che non possono essere date in concessione. La mappatura inoltre è stata fatta solo su scala nazionale e non comunale, trascurando la specificità dei vari tratti di costa.
Nelle sue conclusioni la Commissione ritiene che continuando a prorogare le concessioni senza intervenire sul quadro normativo l’Italia sia venuta meno agli obblighi derivanti dalla Direttiva. La procedura d’infrazione quindi va avanti e ora il governo Meloni avrà sessanta giorni per fornire una risposta e adottare le disposizioni necessarie per conformarsi al parere motivato, varando una riforma organica del settore coerente con la normativa europea.
L’incertezza che in questi anni non ha permesso a migliaia di imprese di continuare a investire in un settore strategico per l’economia turistica si è affiancata a quella delle pubbliche amministrazioni che si sono trovate senza una normativa di riferimento e con la scadenza incombente indicata dal Consiglio di Stato. Un’incertezza che la Commissione europea imputa all’Italia colpevole di aver reiterato le proroghe della durata delle concessioni compromettendo gravemente la certezza del diritto a danno di tutti gli operatori, quando la situazione giuridica delle concessioni è chiara da anni. Ma stando alle prime dichiarazioni degli esponenti della maggioranza, il governo dovrebbe andare avanti per la sua strada proseguendo con la strategia della non scarsità della risorsa e prevedendo le gare solo per le spiagge non ancora oggetto di concessione. Pur di non fare i conti con la realtà, dunque, l’esecutivo sembra deciso ad ignorare i moniti della Commissione europea.
Con la scadenza fissata dal Consiglio di Stato a fine anno, il rischio di trovarsi tra quaranta giorni senza un quadro normativo e quindi con tutte le concessioni messe a gara è molto concreto. E a farne le spese sarebbero proprio le migliaia di imprese del settore che la destra italiana ha sempre detto di voler tutelare.
Anna Giannetti
Lgambiente Pisco Montano Terracina
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