Le indagini iniziate nel 2008 sul ciclo dei rifiuti nella provincia di Roma hanno portato all’arresto di diversi personaggi noti, tra cui Manlio Cerroni, celeberrimo magnate dell’immondizia, e Bruno Landi, suo braccio destro, entrambi legati alla gestione di Ecoambiente e Latina Ambiente operanti in zona pontina. Ecoambiente è una delle due società attive nella discarica di Borgo Montello, di cui Cerroni tramite le sue holding ne è proprietario al 49% insieme a Latina Ambiente che ne possiede il 51%. Sarebbe utile ricordare che proprio Latina Ambiente, a sua volta, è partecipata per il 51% dal Comune di Latina e ciò comporta l’estrema vicinanza dell’amministrazione latinense a “i fatti di inaudita gravità anche per le dirette implicazioni sulla politica di gestione dei rifiuti e per le ricadute negative sulla collettività”, come definiti dal comunicato dei Carabinieri che hanno portato avanti le indagini. Al Landi, amministratore delegato di Ecoambiente e Latina Ambiente, è stato riconosciuto il ruolo di “cerniera” fra il gruppo Cerroni e le strutture politico-amministrative della Regione Lazio, difatti i fermi hanno coinvolto anche Luca Fegatelli, già capo Dipartimento del Territorio della Regione Lazio e di Raniero De Filippis, responsabile dello stesso dipartimento, uno dei destinatari della famosa relazione Arpa-Ispra del marzo 2012, della quale solo recentemente si è venuti a conoscenza. Per avere una migliore percezione della gestione dei rifiuti pontini, devono essere nominate anche altre vicende oscure che vedono come perno sempre Cerroni & Co.: la illegittima approvazione della variante urbanistica che permetterebbe ad Ecoambiente di costruire un impianto TMB a 150 metri dalle prime case abitate, progetto approvato in sessione straordinaria del Consiglio Comunale che legittima anche uno sconfinamento su terreni sotto pignoramento; nelle 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare c’è anche la trascrizione di una telefonata tra il sindaco di Latina, Giovanni Di Giorgi, e Bruno Landi riguardo la decisione del Comune, nel giugno 2012, di ottemperare all’input della Regione inviando i rifiuti soldi urbani nell’impianto di pretrattamento della Rida Ambiente, nemico acerrimo del cartello “Cerroni”con la compiacenza dei dirigenti regionali già nominati; l’inutilità del “Tavolo per la trasparenza” istituito per far credere ai cittadini che vi hanno partecipato di costruire un percorso ragionato sulla base del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, quando invece gli estremi della cosiddetta “bonifica” sono già stati decisi nella Conferenza dei Servizi presso la Regione Lazio in data 8 gennaio 2014, che vede Ecoambiente come unico proponente e soggetto attuatore del progetto. Perciò, visto che tutte le azioni che potrebbero chiarire questa situazione sono di competenza della magistratura, si auspica che le forze giudiziarie non tardino ad avviare indagini su dinamiche che ricordano molto le vicende romane. Sarebbe necessario poter valutare le responsabilità dell’innegabile ed evidente mal funzionamento della gestione dei rifiuti, della scarsa percentuale raggiunta di raccolta differenziata che non cresce più del 30%, che fa ipotizzare legami di connivenza che hanno portato ad un danno economico nei confronti della cittadinanza (si pensi al mancato risparmio in bolletta dovuto allo smaltimento della massiccia frazione indifferenziata a fronte della fallimentare raccolta differenziata, per il quale un attivista ha già presentato un esposto alla Corte dei Conti) ed ecologico per l’area della discarica, per il quale non c’è stato ancora il parere dell’Asl che inspiegabilmente non si pronuncia in termini di ripercussioni sulla salute. Alla luce di quanto detto, il M5S Latina chiede all’amministrazione comunale di valutare con molta serietà l’ipotesi di cedere le quote di Ecoambiente che possiede indirettamente, non solo per prendere distanze formali da questa società indirettamente coinvolta nel giro di arresti, ma altresì per fugare qualsiasi dubbio circa l’incongruenza che si crea nel momento in cui Latina Ambiente, partecipata dal capitale pubblico, che dovrebbe guadagnare utili sulla raccolta differenziata, percepisce anche introiti dal conferimento di indifferenziata in discarica, il che rappresenta un innegabile “conflitto di scopo”. Inoltre, in decine di anni spesi ad approvare misure urgenti ed “interessate” piuttosto che adeguate e per il bene comune, non si è mai puntato alla valorizzazione dei materiali recuperati con la raccolta differenziata, che al giorno d’oggi sono sia indiscutibile accantonamento di capitale dal punto di vista economico che risorsa dal lato occupazionale.