La denatalità è un fenomeno che da qualche decennio colpisce l’Italia. Dal report “Le equilibriste” di Save the Children emerge che nel 2022 questo processo ha toccato i minimi storici andando sotto alle quattrocentomila nascite, con un calo di quasi 2% rispetto all’anno precedente. Le cause sono molte, ma certamente a giocare un ruolo importante sono la condizione lavorativa della donna e la sensazione di abbandono che una madre vive dopo la nascita di un figlio.
Interris.it ne ha parlato con Antonella Inverno, responsabile delle politiche per l’infanzia e l’adolescenza Italia-Eu di Save the Children Italia.
Antonella, rispetto al mondo del lavoro, quali sono gli effetti a cui va incontro una donna che diventa madre?
“Per quanta riguarda il mondo del lavoro è stato riscontrato che quando una donna dà alla luce un figlio il divario professionale già esistente tra uomo e donna aumenta. Questo significa che il mercato del lavoro è più ospitale verso un padre rispetto a una madre e il tasso di occupazione per i padri tende ad aumentare con la nascita dei figli, mentre per le madri diminuisce drasticamente arrivando a un divario del 34% tra uomo e donna nelle famiglie con due figli minori. Questo fenomeno è attenuato man mano che il livello di istruzione aumenta e nel Nord Italia dove la donna ha più possibilità di lavoro”
Avete riscontrato un numero elevato di madri che rinunciano al lavoro?
“L’ispettorato nazionale del lavoro per il 2021 ha pubblicato la relazione annuale sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri. Dopo una flessione riscontrata durante il 2020, le dimissioni volontarie sono tornate ad aumentare. Le convalide complessivamente adottate su tutto il territorio nazionale sono state 52.436 e di queste 37.662, ovvero il il 71,8% si riferiscono a donne, mentre 14.774 cioè il 28,2% a uomini. Nel caso delle donne le cause più frequenti di questa rinuncia al lavoro sono dovute alla difficoltà a conciliare la vita privata con quella professionale, la mancanza di servizi e a le problematiche legate all’azienda e di organizzazione del lavoro”.
Quali servizi mancano per garantire alle donne di poter lavorare?
“Dalla nostra analisi emerge che la cura del figlio è per lo più a carico della madre. Anche la rete degli asili è diventato un privilegio in quanto solo circa tredici bambini su cento riescono ad accedere all’asilo pubblico e in alcune regioni d’Italia questa percentuale scende al 2% e gli altri sono costretti a frequentare quello privato con dei costi molto maggiori o a rimanere a casa. Dal nostro sondaggio emerge che quando il figlio non frequenta il nido, nel 16% dei casi è dovuto a motivi economici perché la retta è troppo cara, il 6% all’esclusione dalla graduatoria e il 5% dichiara invece che non ci sono servizi pubblici nella zona dove vive”.
La cura del figlio è ancora tutta sulle spalle della donna?
“Tra dieci donne intervistate sei dichiarano che il proprio figlio non va al nido, mentre tra quelle che hanno un figlio all’asilo, il 75% si è occupata in prima persona dell’inserimento dimostrando come tutto ciò che riguarda la sfera della cura dei figli sia ancora appannaggio femminile. Emerge che molte donne avvertono la solitudine non appena lasciano l’ospedale e per questo denunciano la mancanza di un’assistenza domiciliare di accompagnamento alla genitorialità. Le conseguenze sono molto gravi perché queste madri dichiarano di non fare nulla per se stesse, di non uscire e di far fatica a ritrovare un equilibrio con il partner”.
Che cosa si dovrebbe fare per aumentare il tasso di natalità?
“Tra gli elementi che potrebbero permettere di invertire la rotta c’è la promozione del coinvolgimento paterno nella cura dei figli. I dati a disposizione mostrano un trend, lento ma crescente, legato a scelte lavorative che, anche nel caso dei padri, richiamano l’esigenza di bilanciare meglio e di più la vita familiare con quella lavorativa. Per quanto riguarda i congedi facoltativi notiamo che i padri li iniziano ad usarli, ma emerge che quando un bambino sta male è sempre la madre a sacrificare il proprio lavoro per prendersene cura. Questa situazione ha portato il 43% delle mamme da noi intervistate a dire di non desiderare un altro figlio e molte di queste ci hanno anche dichiarato che cambierebbero idea se l’assegno unico fosse più sostanzioso, se ci fossero degli asili nido gratuiti o se fossero previsti dei servizi domiciliari dopo il parto”.
In Terris
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