“Il rapporto Antigone pubblicato oggi sulla situazione carceraria nell’anno 2022 e intitolato ‘E’ vietata la tortura‘ evidenzia dati molto gravi. In primis il numero di suicidi in carcere; e poi l’annoso problema del sovraffollamento”. Così a Interris.it Giorgio Pieri, autore del libro Carcere, l’alternativa è possibile (Sempre Editore, 2021) – disponibile nelle librerie fisiche e on line – e responsabile delle Comunità Educanti con i Carcerati (CEC) dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi.
“La situazioni nelle carceri è penosa e il carcere stesso è un modello superato”, prosegue Pieri nella sua analisi, frutto di anni di esperienza negli istituti penitenziari e nelle comunità educanti per il recupero dei detenuti. “Il primo fatto da evidenziare è che nelle carceri esiste un disagio psichico altissimo: se all’esterno la depressione è presente nell’1% della popolazione, dietro le sbarre sale al 4%. Il cosiddetto ‘carrello della felicità’ [gli psicofarmaci, ndr] è utilizzato dal 75% dei detenuti. Il disagio psichico supera il 13%”.
“Con la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (gli OPG), sono state aperte le REMS. Le Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza, che hanno sostituito gli OPG aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015, funzionano bene; ma sono troppo poche e hanno troppi pochi posti rispetto alle reali necessità. Anche i tempi per accedervi sono ancora lunghi. Questo ha una ricaduta negativa sulle carceri. Perché, in attesa di un eventuale posto nella Rems, i detenuti con problemi psichici più o meno gravi vengono messi in carcere, in sezioni separate dagli altri detenuti perché commettono atti autolesionistici – fino al suicidio – e violenti, sia contro gli altri detenuti, sia contro gli agenti di polizia penitenziaria, come i sindacati denunciano ormai quotidianamente”.
“Tutto questo malessere è più diffuso di quanto si pensi: all’interno delle carceri ci sono infatti molti più soggetti con problemi psichiatrici che casi di devianza. Inoltre, è da evidenziare che la maggior parte dei casi di suicidio avviene nei primi giorni di detenzione, non dopo mesi o anni. Non è dunque il carcere che produce il fenomeno del suicidio, ma sono le persone che vivono all’esterno che presentano problemi mentre stanno nella società comune, prima di entrare. Quando si leggono le cifre, bisogna tener conto dell’andamento negli anni. Il disagio nella società libera è aumentato. Queste persone vengono poi messe in carcere, un istituto penoso che non riesce quasi mai nel suo intento rieducante e riabilitativo”.
“Non è però possibile limitare il discorso suicidio ai prigionieri. Negli ultimi 5 anni, infatti, il numero di suicidi tra gli agenti della polizia penitenziaria è di 30 persone. Quindi, riallacciandomi ai dati del rapporto Antigone, nell’ultimo anno si sono suicidati 85 detenuti e a questi vanno aggiunti i 6 agenti della polizia penitenziaria. Quest’ultimo dato è ulteriormente allarmante perché evidenzia come il carcere sia davvero un luogo di tortura. Non solo per i detenuti, ma anche per quanti ci lavorano dentro”.
In Terris
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