La riforma delle Province contenuta nel decreto Salva Italia e il loro riordino, che ne prevede la riduzione in base ai criteri di estensione e popolazione, non sono materie da disciplinare con decreto legge: lo ha deciso la Consulta, accogliendo le questioni di legittimità costituzionale sollevate da diverse regioni Esulta l’Unione delle Province italiane: la sentenza della Consulta, dice il presidente dell’Upi Antonio Saitta, “ristabilisce il valore della Costituzione: non si fanno le riforme istituzionali per decreto“. E secondo il ministro Gaetano Quagliariello “l’odierna sentenza rende ancora più importante intervenire attraverso le riforme costituzionali sull’intero Titolo V, in particolare per semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti territoriali. E’ il tempo di rendersi conto che mancate riforme e scorciatoie hanno un costo anche economico che in un momento di così grave crisi il Paese non può più sopportare“.
A poche ore dall’udienza pubblica di ieri, la Consulta ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale di una serie di commi dell’art. 23 del cosiddetto decreto Salva Italia (decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201), che secondo i ricorrenti avrebbe di fatto ‘svuotato’ le competenze delle Province, e gli articoli 17 e 18 del decreto legge n. 95 del 2012, sul riordino delle Province in base ai due criteri dei 350 mila abitanti e dei 2.500 chilometri di estensione. Secondo i giudici costituzionali, “il decreto legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio“.
Nei loro ricorsi contro il Salva-Italia molte Regioni hanno evidenziato come la normativa violerebbe vari articoli della Costituzione, attuando una riforma complessiva attraverso un dl il cui obiettivo è salvaguardare le finanze pubbliche (senza peraltro produrre, affermano, risparmi di spesa). La Provincia disegnata dal decreto, aggiungono i ricorrenti, non esercita più l’attività di gestione amministrativa, né le funzioni amministrative previste dall’articolo 118 della Costituzione. Inoltre, non è più un ente “esponenziale della popolazione provinciale“, visto che sia il Consiglio sia il Presidente sono emanazione degli organi elettivi dei Comuni. Il decreto 95 del 2012 è nuovamente intervenuto sulle funzioni, restituendo quelle di coordinamento e pianificazione territoriale, sul traffico e le scuole, ma rimangono dei punti critici come l’elezione degli organi elettivi, che secondo le Regioni “inciderebbero sulla rappresentanza democratica“. “La sentenza della Consulta – dice il presidente dell’Upi Saitta – conferma che le riforme delle istituzioni costitutive della Repubblica non possono essere fatte per decreto legge. Nessuna motivazione economica era giustificata e quindi la decretazione d’urgenza non poteva essere la strada legittima“. Dunque, prosegue il presidente dell’Unione delle province, “per riformare il Paese si deve agire con il pieno concerto di tutte le istituzioni, rispettando il dettato costituzionale. Non si può pensare di utilizzare motivazioni economiche, del tutto inconsistenti, per mettere mani su pezzi del sistema istituzionale del Paese“.