In questi anni lo stato di salute della sanità pubblica laziale ha fatto impegnare fiumi d’inchiostro ai giornali e un monte ore monstre in trasmissioni tv e radio.
Per questo segmento fondamentale della convivenza civile sono passati sotto la lente d’ingrandimento politici e amministratori delegati delle asl (oltre ai responsabili degli ospedali convenzionati con il sistema sanitario nazionale), e pochi in verità chi ha superato le critiche mosse.
Di questo non eccelso percorso, non si salvano neanche alcuni inadeguati comportamenti di: medici, paramedici e impiegati ai vari livelli di collaborazione.
La questione sanità, dunque, aprirebbe anche per noi scenari di critica che non vogliamo oltre misura promuovere, ma a tutto c’è un limite.
E questo limite lo riteniamo varcato dal sistema organizzativo del servizio di prenotazione e sala prelievi dell’ospedale Agostino Gemelli di Roma, dove evidentemente è di casa tutt’altra cosa.
Fatto che si somma poi al vulnus comportamentale di alcuni operatori addetti che appellano gli utenti come miracolati per il servizio che sarà reso, invece che soggetti aventi un diritto inalienabile, oltre che al momento fisicamente e psicologicamente in difficoltà.
Se la sanità pubblica – per chiudere – non ritrova lo spirito di stare al servizio del cittadino in stato di bisogno e non esce dalla nefasta logica della forsennata quadratura del bilancio, non ci sarà alcuna positiva speranza di affrancamento per nessuno.
Ripeto, nessuno: operatori e pazienti compresi.
Altro che Miracolati, Cari lavoratori del Cup e della Sala prelievi del “Gemelli”.
Lettera firmata