Nell’ambito della sanità purtroppo, per quanto riguarda le persone con fragilità e disabilità, c’è una disparità di trattamento tra le varie regioni che non è più accettabile. Bisognerebbe ripartire da dei livelli essenziali, non solo di assistenza sanitaria, ma anche di prestazioni sociali, che siano in grado di essere assolutamente omogenee su tutto il territorio nazionale. È chiaro che, per fare ciò, sarebbe necessario ripensare anche il Titolo V della Costituzione per rendere uniformi i livelli di cura in tutte le regioni. Bisogna creare un nuovo modello che non sia più solo di assistenza o prettamente sanitario. In particolare, in riguardo alle persone con disabilità e fragilità, molte volte la cura è rappresentata anche dall’assistenza sociale e dalla presa in carico della famiglia. Serve una tipologia di presa in carico sociale, sociosanitaria e sanitaria di tutto il nucleo familiare. La progettazione in merito deve essere fatta a seconda dei bisogni, senza calare dall’alto provvedimenti uguali per ognuno, ma non adatti a tutti.
I familiari caregiver, anche su questo versante, rivestono un ruolo assolutamente fondamentale. Il caregiver è praticamente il “gemello siamese” del proprio congiunto in condizioni di fragilità. In particolare, quando si parla di disabilità grave e non autosufficienza, questa figura deve sostituire il proprio familiare in ogni sua azione, non solo al livello assistenziale, ma anche legale e burocratico. Pertanto, se anche in quest’ambito, il caregiver viene messo nelle condizioni di essere parte attiva del piano assistenziale e di tutto ciò che riguarda la vita del congiunto, faremo un grande passo avanti, anche dal punto di vista culturale, perché si investe il familiare di una importante responsabilità condivisa, allo scopo di rendere più dignitosa la vita di tutti. In altre parole, bisogna permettere ai caregiver, di partecipare alla programmazione congiunta di quella che sarà poi la vita futura, non solo del congiunto assistito, ma di tutta la famiglia.
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