Oggi 14 novembre 2017 è il primo anniversario della morte di Emilio Selvaggi, e quello che segue è un suo profilo pubblicato dal periodico “Controcorrente” nell’ottobre del 1991, foglio di cui ero il giornalista responsabile della testata e lui collaboratore preciso nei tempi di consegna del pezzo e irriverente, quando bastava, nei confronti di soggetti dediti alla pratica politica del cuculo o delle mosche cocchiere.
Uno scritto che fu inserito all’interno di una rubrica “coperta” che non contemplava il nome dell’estensore per eventualmente tutelarlo da eventuali ritorsioni dei presi di mira.
Sicuramente non era il caso di specie ma ancora oggi e a distanza di anni sentiamo il dovere di coprire quel nome che sappiamo.
Il ritratto di Emilio è in ogni modo rispondente alle sue molteplici qualità di uomo, di educatore di migliaia di giovani, di studioso della natura e delle tradizioni popolari cittadine.
Un grande uomo – terracinese, mai troppo valutato dalle istituzioni pubbliche per il suo notevole lavoro … sempre a costo zero. Anzi rimettendoci di tasca propria.
Emilio Selvaggi e Socrate
Come Socrate, Emilio Selvaggi ha l’aspetto silenico e selvoso.
Simile al satiro Marsia, egli riporta tra gli uomini la commozione del fiato naturale sprigionato dai boschi odorosi di muschio, la musica dolcissima delle paludi salmastre, delle macchie frondose e selvatiche e, nondimeno, l’intelletto matematico dell’uomo sociale, la coscienza viva dell’essere nel mondo.
Come figlio di Sofronisco egli vive in modo parco e sobrio, con trasandata semplicità di costumi, e come costui è visitato spesso da un demone: è allora che lo vedrete attraversare la città da un capo all’altro, immerso nei suoi pensieri, alla guida del mezzo a due ruote da cui non si separa mai.
Allo stesso modo greco, utilizza, come carattere prevalente della sua dialettica, l’ironia, e dunque nel ragionar di natura, di etica e di morale, egli parlerà di cuculi e mosche cocchiere, di pecore e lupi, di asini e di cavalli.
Come Socrate, convinto di “non saper nulla, egli va in giro interrogando con spirito critico gli uomini politici, gli oratori, i militari, i sacerdoti, gli artefici vari, trovando il loro la tracotanza del sapere, e nel contempo, scoprendo in tutti, la mancanza esatta di conoscenza nella loro specifica occupazione, con evidente pregiudizio generale.
Cosicchè, nel paradosso di coloro che s’illudono di sapere qualcosa e non sanno, e colui che non sa e non crede neppure di sapere, quest’ultimo appare di certo il più sapiente, e lo è, poiché non sapendo non crede neppure di sapere, ingenerando per ciò stesso, uno strascico maleodorante di odi.
Come Socrate, egli va affermando per questo che “la colpa e l’ignoranza e la virtù sapienza”, considerando nel ragionamento cosa è natura e cosa è cultura, cosa è pietà e cosa empietà, giusto o ingiusto, saggezza o pazzia, coraggio o viltà.
E che cosa è Stato, cosa Governo, arte di Governo e altre cose simili, dalla cui conoscenza o ignoranza dipende l’essere uomini degni e civili o invece avere l’anima degli schiavi.
I giovani spontaneamente lo seguono e spesso si divertono a interrogare le persone, sulle cose naturali e sociali, riconoscendo in tal modo anch’essi che molti uomini, i quali credono di sapere, in realtà non sanno nulla, provocando così, nel mettere a nudo ambizione e violenza, anche loro, non pochi risentimenti.
Potrebbe succedere allora che un “Meleto” qualsiasi, un “Anito” o un “Licone”, lo possa trascinare davanti a un tribunale con l’accusa di “spingere a non credere agli dei”, di “corrompere i giovani”; e “minare l’ordine costituito”.
Potrebbe accadere perciò che possa venir “condannato a morte”, e costretto a “bere la cicuta”, con una “maggioranza semplice”, come succede spesso in “democrazia”, dove la giustizia è di frequente serva della legge.
E potrebbe avvenire infine che anch’egli debba essere costretto a sentenziare: “E’ tempo ormai di andare, io a morire, voi a vivere”.
“Chi di noi avrà sorte migliore è ignoto, tranne che al dio!”.
Ma la speranza per noi è che egli possa continuare invece a riportarci di natura la grazia originaria, il primitivo bene.
Come il silenico e selvoso ateniese possa condurci con l’esempio verso una più umana e serena coscienza del mondo.
Riposa in pace caro Emilio.