La nuova edizione del Palio delle Contrade, che s’è svolto nei giorni scorsi nel centro storico alto, ha rinverdito una serie di polemiche proposte sin dalla sua prima edizione, in merito alla validità della ricostruzione e, soprattutto, alla veridicità dell’esistenza storica delle contrade.
A me viene da riflettere, oltre la versione “storica” della quale non possiedo conoscenze, sul “desiderio” di volgere lo sguardo al passato per ritrovare non solo la vitalità di quelle radici ma quale presa d’atto di una assenza e, quindi, la ricerca di un qualche significato capace di giustificare il vuoto di questa comunità. Intenti che, probabilmente vanno oltre le motivazioni di coloro che ne hanno richiamato in vita l’essenza spettacolare e che, comunque, contribuiscono positivamente ad alimentare la memoria collettiva.
È vero, per chi sa di fisica, che il tempo non esiste. Esiste, però, la storia e la vicenda umana con i sentimenti, gli eventi, anche le tragedie, i luoghi che l’hanno determinata, il paesaggio, la cultura e la scienza.
Ed è altrettanto vero che alcune date conservano il valore simbolico di tempi decisivi ed importanti, nella consapevolezza che non c’è mai una “cesura” determinante, un prima e un dopo pari al presente vissuto. E, quasi sempre, un po’ di passato ci accompagna e il futuro non è mai completamente realizzato.
Mi chiedo a quale data o a quali date, della vicenda storica contemporanea di Terracina, possiamo assegnare la valenza di “simbolo” di svolta – con le dovute accortezze dell’uso di tale termine.
Forse, il 4 settembre 1943, perché non è solo il ricordo dei morti ma la loro commemorazione assume la forma originaria del ricordo culturale, di una memoria collettiva con le sue istituzioni, i suoi riti? Magari il referendum cittadino del 1948, che non è la semplice scelta dell’ubicazione della Casa comunale? Forse, la prima elezione diretta del Sindaco (1993) che apre nuovi scenari nella rappresentanza dei cittadini e nel governo della città? E, perché no, l’approvazione del Piano Regolatore Generale (1971), quale strumento di gestione del territorio?
Io penso ad una ”opera” realizzata oltre mezzo secolo fa – nel 1964 – e che, quindi, da due generazioni in qua ha modificato radicalmente lo spazio urbano, rispetto a com’era da secoli, dall’alba originaria della nascita della nostra città.
Mi riferisco al “tombinamento” del canale Lungolinea Pio VI, tra il ponte della Vittoria e quello del “Salvatore” (piazza G. Antonelli), un’intervento che ha eliminato, con poche centinaia di metri di asfalto e cemento, ogni significato del passato.
La navigabilità dei canali era la caratteristica del nostro territorio, la via naturale degli scambi commerciali e di comunicazione verso il porto, la fonte di ricchezza della città. Fortunatamente, possiamo ripristinare quelle caratteristiche naturali e giovarcene in una visione di città sostenibile. Nel passato i canali servivano agli scambi, al trasporto di merci. Oggi, possono servire alla mobilità delle persone, e le aree lungo gli argini a nuove destinazioni per attività collegate ai servizi, al turismo, al commercio e allo svago. Graduandone qualità ed impatto dal centro urbano fino all’esterno, in una rete che risalti il ruolo dei Borghi e delle periferie.
Allora sì che per tutti noi, la coscienza della memoria collettiva potrebbe non restare un esercizio senza costrutto, limitato a sterili polemiche sulla veridicità di stendardi e cortei, più o meno in costume.
Armando Cittarelli
I commenti non sono chiusi.