sabato 23 Novembre 2024,

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Terracina. “Argo 64 riprende il viaggio”

scritto da Redazione
Terracina. “Argo 64 riprende il viaggio”
Riprendo “Argo” dopo molti mesi, mentre facevo fatica a rintracciare un barlume di significato della vita. Forse, per tutti noi, il senso della vita è racchiuso nelle cose che abbiamo fatto o che ancora siamo in grado di fare. E ricomincio dalle parole, perché questo è il modo che ora mi rimane per continuare a parlare con Emanuela, quando ho compreso la trama di questi dieci mesi, una storia d’amore e una vita non breve ma che non bastano, di sorrisi, di condivisioni, di cura e attenzioni. Veniamo dal mistero e al mistero torniamo. Nell’intervallo proviamo a respirare, a resistere ai colpi della vita, protetti, se fortunati, dall’amore.
Dov’è il senso di questa città?
Il teatro romano, e la sua posticcia inaugurazione, l’elezione del sindaco del consiglio comunale dei ragazzi e delle ragazze, le vicende del PUA (Piano Utilizzazione Arenili) e il Parco Archeologico abortito: sono queste alcune delle numerose vicende e fatti di cronaca cittadina all’attenzione dell’opinione pubblica. E tutte sembrano avere un centro di domanda – quasi retorica – “dov’è il senso di questa città”?
L’ultimo Rapporto Censis ha definito gli italiani – e, quindi, anche i terracinesi, qui dove tutto assume una dimensione fuori scala – affetti da “sonnambulismo” e da “una ritrazione silenziosa verso dimensioni miniaturizzate, parcellizzate, di piccole patrie e minime rivendicazioni…”
Quindi, anche noi, confusi in una percezione indistinta del malessere e della sensazione d’impotenza, e di credenze fideistiche delle quali il primo cittadino mostra di possedere un vasto repertorio: l’ultima è quella che “non dobbiamo dimenticare di vivere in un posto meraviglioso che dobbiamo meritare”, tra l’altro! Poi i soliti temi, che non contano i simboli di partito e che tutti dobbiamo sentirci fieri della nostra comunità e dell’identità terracinese.
Quanto a quest’ultima, vale la pena ricordare che non è decifrata da un dialetto (che da oltre cent’anni nessuno parla) o da un territorio, così attraversato da reti materiali e immateriali, ma da un’esperienza, perché possiamo riconoscerci nel dialogo con gli altri. E, quindi, smetterla con una identità introvabile e nemmeno pensarci quale centro da cui le “ragioni” nostre si allargherebbero a coprire quelle degli altri. La nostra identità può essere definita solo nel riconoscimento del ruolo e della vocazione di una area più vasta, tra il mare e i monti, di città antiche e nuove.
Non è un concetto, come non è una geografia, meglio l’alimento di una politica ma è certo una storia nuova e antica, un movimento che permette di sfuggire alla chiusura dell’identità.
E così, altro che sonnambuli, gli occhi son chiusi e restiamo immobili nelle nostre certezze decomposte. Proprio qui, dove un progetto politico di cambiamento deve essere prima di tutto un progetto culturale. Allora, buon anno a coloro che si ripromettono di aprire gli occhi, ad ogni costo!
Armando Cittarelli
(fotografia di Daniela Celani)

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