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Terracina. Festa del 1° maggio, Festa di San Silviano

scritto da Redazione
Terracina. Festa del 1° maggio, Festa di San Silviano

Nella memoria del popolo terracinese è particolarmente conservata quella di Silviano, figlio di Eleuterio e Silvia, fratelli di Rufina e cristiano della prima ora: morto intorno al 440 d.C. dopo nove mesi di episcopato, sepolto poi insieme al padre anch’egli vescovo nella chiesa del S.S. Salvatore, successivamente chiesa di San Silviano.

Egli giunse a Terracina, come riferisce il Contatore, (molti dubbi sono stati avanzati sull’attendibilità del fatto, come del resto per buona parte dei martiri cristiani, la cui vita è sempre stata ammantata da un alone di leggenda) durante la persecuzione degli Ariani, fomentata dall’imperatore Valente, e l’invasione dell’Africa da parte dei Vandali di Genserico, anch’essi seguaci di questa eresia.

Silviano difatti, perseguitato e incarcerato per la sua fede, a Cartagine, dove risiedeva, fu sistemato su di una precaria imbarcazione con la famiglia e spinto in mare verso una sicura morte.

“Protetta dal Signore”, l’imbarcazione approdò sulle coste campane e da qui con i suoi cari raggiunse Terracina, dove si stabilì, nei pressi di Monte Leano, fuori le mura cittadine e dove visse in umiltà e preghiera.

Una serie di miracoli da lui operati spinsero la popolazione a considerarlo santo.

Questo è quanto, all’incirca, è riportato dai documenti, Silviano, nella tradizione locale, è il potente protettore del vino e dei vigneti e la festa in suo onore celebra in particolare il mondo contadino, accompagnandolo in processione dal levarsi dell’alba, ma cui partecipa una moltitudine di cittadini, ha il carattere, per il tono frizzante e sensuale, di una celebrazione pagana piuttosto che la mesta venerazione cui le processioni di tradizione cattolica ci hanno abituato. E’ probabile, dice Bianchini, che pur non avendo Silviano nessun legame con le attività dei campi, egli sia diventato patrono dei vigneti per un’omonimia con la divinità campestre Sylvanus, venerato fin da epoca remotissima dai contadini della zona denominata dopo la vittoria del cristianesimo: “Valle dei Santi”.

E’ certo che un santuario campestre dedicato al dio sorgesse in località “Fossata” e di cui restano notevoli rovine. Del resto è noto come il cristianesimo, innestandosi al ceppo pagano ne abbia, di fatto, conservato la radice. Dunque, potremmo anche dire che qualcosa di più di una semplice omonimia abbia mantenuto tale tradizione. Certo è che il rapporto profondamente mistico dei popoli antichi verso la natura si respira ampiamente in tutta la mitologia greco – romana, e volendo confermare quanto supposto, ad altri non ci dovremmo rifare che a Dionisio o Bacco, il dio del vino e delle stasi della Grecia tarda, il cui culto, accompagnato da ricchi cerimoniali prometteva la salvezza.

La divinità era solitamente affiancata dai sileni e dai satiri ed era il protettore della fertilità e dell’agricoltura. I suoi seguaci, generalmente donne, le menadi, si abbandonavano sulle colline a danze selvagge, brandendo il tirso, vestite di pelli di animali.

Questo “spirito dionisiaco” che impregnava con il suo sentimento orgiastico l’indole greca, arriva oggi a noi molto annacquato, attraverso la memoria di Silviano e forse malgrado lui.

E molto più decantato purtroppo ci consegna quel “senso della natura” che tanti guasti ha procurato e procura nell’affermazione, con atto di superbia, delle società del massimo sviluppo, di essere da esso separato.

Recuperare il “valore di natura” è un atto compiuto per la vita, c’è necessario, c’è indispensabile, poiché con esso cancelleremo quel tratto d’infelicità che marca i volti artificiali degli “uomini” del nostro tempo, poiché con esso recupereremo una parte di quell’Humanitas che abbiamo perduto.

 

 

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