Alla lunga lista dei ritrovamenti archeologici marini, spesso riaffioranti casualmente lungo la costa laziale, si è aggiunto nel corso degli anni quello di una nave romana risalente al primo secolo a.C., colata a picco a causa di un fortunale a un miglio e mezzo dal porto di Terracina, mentre era intenta a trasportare materiali edilizi prodotti – probabilmente – da una delle fornaci attive tra Priverno e Fondi.
Il relitto della nave romana era stato segnalato da alcuni subacquei non professionisti già diversi mesi prima dell’ufficializzazione del suo ritrovamento, ma soltanto nel 1998 la Soprintendenza Archeologica del Lazio, in collaborazione con la Capitaneria di Porto di Terracina, il Primo Nucleo Subacqueo della Marina Militare, con l’ausilio di nave Bannock, ha eseguito una prima esplorazione del relitto.
Il “relitto delle tegole”, com’è stato ribattezzato dagli archeologi, è in discreto stato di conservazione, con parte dello scafo ancora interrato nella sabbia, che ne ha di fatto protetto il fasciame residuo.
Il carico, composto di oltre 4000 pezzi tra coppi e tegole, è perfettamente conservato dopo oltre 2000 anni dal naufragio e da una tegola riportata in superficie dai sub si è evidenziato il marchio del costruttore, tale Marcus Arrius.
Il carico era forse diretto a Sperlonga, dove l’imperatore Tiberio stava ultimando la sua splendida villa, o a una delle tante dimore patrizie in costruzione tra Terracina e Gaeta.
Ma quale visione della costa terracinese i marinai della nave romana furono in grado vedere?
“Il lungomare – spiega Nicoletta Cassieri della Soprintendenza del Lazio – era probabilmente disseminato di ville romane, c’era già il Tempio di Giove e l’intera area del Foro Emiliano.
Era in ogni modo una Terracina bella e importante, anche commercialmente parlando”.
In effetti, con la realizzazione del nuovo porto che andò a sostituire il vecchio bacino costruito in epoca repubblicana, Terracina diventò un’importante città commerciale, punto d’incontro fra Roma, l’Italia Meridionale e il Mediterraneo.
Ruolo che la città si era conquistata sin dall’epoca arcaica tanto da essere menzionata alla fine del VI sec. a.C. nel primo trattato romano-cartaginese.
Anni dopo, con la deduzione della colonia romana (329 a.C.), il territorio terracinese si avviò verso un processo di sfruttamento intensivo mediante la divisione in centuriae.
Si assistette così a un proliferare di villae rusticae dei nuovi coloni romani la cui attività era costituita dalla lavorazione della vite.
Dai vitigni si otteneva un vino pregiato – il Caecubus – prodotto principalmente nell’aerea tra Terracina e Fondi.
L’entità di questo commercio vinicolo in età repubblicana è ampiamente dimostrata dall’esistenza di un’officina d’anfore del I sec. a.C. scoperta in località Canneto, presso il lago di Fondi.
Anfore provenienti dall’opificio fondano, con il bollo di P.Veveius Papus, sono state rinvenute nel relitto di una nave oneraria romana affondata presso Giens, in Francia.
Le anfore ritrovate nel mare di Tolone documentano con certezza la vasta portata del commercio del vino terracinese, in un’epoca in cui l’Italia era ancora al centro delle attività economiche del mondo romano.
Questo fervore commerciale determinò la progressiva formazione di un’agiata classe sociale in gran parte costituita dall’aristocrazia terriera, alla quale vanno attribuiti non solo i resti delle grandi ville visibili ancora oggi intorno alla città, ma anche i monumenti religiosi e civili la cui realizzazione comportò l’investimento di notevoli capitali.
Commercianti terracinesi appartenenti alla Gens Memmia operarono a Delo, un Memmius Terrachinensis muore a Efeso intorno al 100 a.C.
E poi, come ricordato, troviamo le 8000 anfore con i bolli di P.Veveius Papus depositate sul fondo del mare di Tolone, oltre al “logo” del primo profumiere” terracinese: L. Pomponius Bithus, che costruì in città un sepolcro per se e la sua famiglia.
E.L.