Uno degli esiti più potenti, derivante dai due secoli di dominazione longobarda (568 – 774) in Italia, fu la nascita di un vero e proprio “principio visivo”, in sé autenticamente nuovo e di valore rivoluzionario.
Emerso dal “magma indistinto e convulso”, dalle “oscurità” del mondo altomedievale, esso si concretò nella “linea”m la quale seppe, con valore di simbolo e segno unificante, compenetrare la realtà fonomenica, divenendo il mezzo di espressione primario e la ragion d’essere del nuovo ordine visivo medioevale.
Questo nuovo elemento/forza, inteso come strumento di conoscenza, furono la via ideale per riconquistare, alla radice delle immagini, il senso vivo del mondo e ricomporre a un tempo “quella figura/sintesi di natura trascendente, chiarificatrice e salvifica, cui è teso l’intero pensiero e l’arte medievale”.
Questa linea compenetrante, astrattiva e animistica a un tempo, segnò indelebilmente la storia dell’arte italiana ed europea del momento, dalle radici altomedievali al gotico pieno, svelandosi come il massimo contributo alla nascita del Rinascimento fiorentino.
Figlia naturale di questa mutazione linguistica, capace di rendere l’immagine in segni e tradurla in astratto simbolo geometrico, fu la scultura a intreccio.
Incredibili le testimonianze sparse in tutta Italia di lastre, pilastrini, cornici, timpani, transenne, le quali consentono di ricostruire i notevoli arredi liturgici, costruiti da cibori, fronti di altari, recinzioni presbiteriali, di cui tra la fine dell’VIII e quasi tutto il IX, le chiese si arricchirono.
Significativa inoltre di quella intensissima attività di botteghe e maestranze che, da sempre trascurate, scoprono invece gli impulsi vivi e i fermenti che ruotano intorno ai centri religiosi italiani, non sul piano della committenza aulica ed imperiale, la quale guardava invece all’antico in senso imitativo e restaurativo, ma su un piano più popolare, intendendo con tale termine non certo energie spontanee e primitive, o peggio popolaresche quale somma delle due, ma come partecipazione di forze che avevano realmente maturato quel principio di novità, carico di forza vitale, che la linea misurava e proiettava entro limiti del piano e sulla cui base sta la forza astrattiva e rivoluzionante della visione longobarda.
Troviamo qui di fronte ad un’esclusiva attenzione, una sorta di mania, verso i temi della decorazione a intreccio, un linguaggio totalmente astratto che qualcuno ha pensato di legare all’iconoclastia orientale.
Altri, che l’intreccio geometrico non rappresenti che un processo di generale impoverimento della scultura, e tali opere, prodotti di botteghe ai margini della grande committenza carolingia, la quale, viceversa, coinvolgerà tutte le altre arti, dall’architettura alla miniatura.
Niente di tutto ciò. Noi guardiamo in queste opere la volontà d esprimere un linguaggio che è a un tempo idea e forma, il quale promuove la scultura ad ambito esclusivo, e in cui un segno autosignificante determina la rigorosa compiutezza di una modalità espressiva che pone l’immagine visiva quale “discorso mentale”, offrendo una attiva percezione e riflessione della forma, e non invece, una gratuita e sovraccarica esercitazione decorativa.
Qui non troviamo comunicazione di cose, raffigurazioni di naturali corposità, racconti di fatti storici, rapporti irrazionali e stimoli emozionali.
Qui entriamo in una comunicazione, dove le forme, attraverso i segni cercano, non ripetendo la natura, i principi universali.
Qui, come per miracolo, tacciono le passioni, e i silenzi geometrici ci conducono nel “mondo delle idee”, dove il linguaggio visivo ci sospende nell’assoluta “forma simbolica”. Ai motivi di base del cerchio e del nastro intrecciato, infine, comunque predominanti, si unisce anche chiaro valore allegorico, come un albero della vita, la croce, il tralcio d’uva, con riferimento ai valori culturali e religiosi.
Terracina, come sempre in antico, partecipò da protagonista allo sviluppo di questo linguaggio significante, lasciando, sparse sul territorio, un numero considerevole di documenti, in parte conservati in parte rivitalizzati nelle murature degli edifici, i quali rimangono a testimoniare di una fervidissima attività sociale e religiosa, attorno ai più significativi monumenti della città:la Cattedrale, S. Cesareo alle Prebende, S. Stefano de Montanis, S. Silviano.
Essi illuminano in qualche misura il “vuoto” straordinario che nei cosiddetti “secoli bui” si produsse.
Le sculture superstiti, in massima parte lastre di pluteo, frammenti di lastre ad arco di ciborio, architravi e pilastrini frammentati, compresi tra la fine dell’VIII ed il IX secolo, si pongono dunque come i riferimenti decisivi ed emblematici per individuare nella comunità terracinese, non solo una realtà ben strutturata sul paino politico, economico e religioso, ma capace di una matura adesione nei confronti del linguaggio di sicuro avvenire, sparso su tutto il territorio nazionale, seppur parallelo alle tendenze della committenza imperiale, tutta protesa ad un recupero classicistico.
Esempio eccellente, perfettamente conservata, è la lastra di pluteo ospitata nel giardino interno all’Ufficio Postale Centrale di via Roma, con decorazione di semicerchi a nastro vimeo intrecciati e incrociati con rombi, secondo una composizione nota e con perfetta evidenzia bidimensionale del rilievo.
Un’immagine definita in cui la linea, vitale e possentemente astrattiva, scandisse con precisione spaziale e dinamica, nelle figure del cerchio, antico simbolo del tempo, e del quadrato, simbolo della terra, un perfetto “ideogramma”, collocando Terracina sulla linea della più viva arte occidentale e della più autentica cultura europea, nata dal volto “violento ed oscuro” dell’Alto Medioevo.
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