Sostare di prima mattina, o al crepuscolo, quando più facilmente le cose si dispongono al disvelamento, quando l’inizio di essere si confonde con la loro fine, sulla terrazza sostruttiva, sulla quale poggiava il tempio dedicato a Giove Fanciullo, o chissà a Venere, la quale, come una platea è aperta dinnanzi al grande spettacolo della natura, è sentire d’un colpo la tragedia della serenità.
Il sentimento del profondo, di fronte a tanto spazio, che amplificando la nostra solitudine ci inghiottisce, coglie d’improvviso il nostro animo e lo smarrisce.
Sostare sul quel terrazzamento, con il silenzio che ti avvolge e ci sospende, e in cui ogni accadimento è possibile, è capire il senso spettrale di un mondo che abbiamo perduto e che pure ci appartiene.
Guardare la scena sottostante e pensare a quando Traiano tagliava il Pisco come una fetta di burro, pensare all’abbacinante biancore dei Fori Emiliano e Severiano, ai teatri e alle terme, ai porticati, alle piazze, ai colonnati, pensare al popolo delle statue, è capire in quale necessario privilegio questa città si trovasse a vivere.
Terracina “Porta degli Dei”. Avamposto eletto di un territorio sterminato le cui propaggini arrivano sulle coste orientali del Mediterraneo.
Territorio in cui la dimensione misterica e oracolare, la condizione mitica della vita e non è perduta, ma è tutt’oggi, sotto la superficie meccanica, viva e vitale.
Territorio in cui s’incontravano ancora tute le dolcezze del mondo e i suoi drammi.
Non ci stia stupore perciò se trovandosi in località “Fossata” s’incontrasse il centauro che si riposa all’ombra di un albero, o un Sileno nascosto tra i cespugli.
Non ci sia stupore, se trovandosi nel “Parco dei Ricordi” (perché continuare a chiamarlo “della Rimembranza; e perché non chiamare “Il Montuno”: “Giardino degli Increduli”? Di nuova poesia ha bisogno il mondo! si allontana, o sulla costa un Tritone adagiato sugli scogli che osservava divertito una Nereide giocare con l’acqua.
Non ci sia stupore.
Il complesso monumentale collocato sul Monte S. Angelo, la cui importanza quale santuario, paragonabile solo ai grandi santuari laziali della Fortuna Primigenia a Palestrina e quello di Ercole a Tivoli, è attestato dall’imponente articolazione strutturale dell’insieme.
Quale luogo di culto operò almeno dal IV secolo a.C. con la probabile venerazione di un’antica divinità volsca, assimilata poi dai Romani e identificata con Giove Anxurus, ipotesi messa recentemente in discussione dal Coarelli, che vorrebbe il tempio maggiore dedicato a Venere.
L’insieme edilizio è realizzato interamente in opera sillana (inizio I secolo a.C.).
E’ questa la datazione comunemente accolta, anche se rimane complessa la cronologia delle fasi costruttive per le varie ipotesi formulate nel tempo.
Dopo Teodosio e il suo editto, che voleva la distruzione dei templi pagani, i monumenti del santuario conobbero un periodo di decadenza e rovina fino all’installazione di un monastero benedettino dedicato a S. Michele Arcangelo nel cosiddetto “Piccolo Tempio”.
Tracce di tale insediamento rimasero nella serie di affreschi, oggi quasi scomparsi, visibili ancora agli inizi del secolo.
Affreschi risalenti al IX – X secolo con immagini della Vergine in trono fra Gabriele e Michele; un Cristo barbato fra i simboli dei 4 Evangelisti; una scena probabile sintesi dell’Ascensione e Trasfigurazione.
Tale insediamento, stabile e duraturo determinò la denominazione dell’area ancora oggi in uso: Monte S. Angelo e S. Angeletto per il “Piccolo Tempio”.
Nello scavo del 1894 che mise in luce il tempio, si rinvennero parti dei decori architettonici, frammenti di statue, due basi con dedica a Venere, piccoli oggetti votivi in piombo; tutto materiale che costituì il primo nucleo del Museo Archeologico di Terracina fondato da Pio capponi nel 1894.
Nel 1957 e 1966 infine furono eseguiti lavori per la sistemazione dei resti dell’acropoli e il restauro degli edifici.
L’area monumentale è costituita da tre zone essenziali: le mura dell’acropoli; la zona del “piccolo tempio” a occidente; le strutture a oriente articolate in due livelli a terrazza.
Le mura partivano dall’acropoli di S. Francesco fiancheggiando l’Appia per circa 200 m. ed erano costituite da più bracci rettilinei con diverso andamento, sui quali, a distanza regolare, nove torri circolari si innestavano.
L’ultimo tratto è diretto a sud e va a costituire il campo trincerato.
A occidente, l’edificio conosciuto come “piccolo tempio”, ritenuto la dimora dei sacerdoti del santuario, con i cinque ambienti rimasti, coperti a volta e chiusi da un corridoio perpendicolare.
In detti ambienti oltre le tracce degli affreschi medievali, si conservano resti e decorazioni parietali di stile pompeiano a riquadri dipinti.
Le strutture maggiori si trovano a oriente.
La terrazza superiore è probabilmente parte della cinta muraria che costituiva il campo trincerato, posto a difesa dell’Appia sottostante e delimitato da tre bracci rettilinei, ritenuti cisterne o strutture di servizio militare, oltre ad una rampa d’ingresso.
La terrazza inferiore poggiata sulla roccia è certo la più significativa del santuario. Il sistema ostruttivo presenta sulla facciata 12 arcate poggianti su pilastri che immettono in rispettivi ambienti coperti a volta e comunicanti con aperture ad arco, collegati inoltre ad un lungo corridoio voltato nel quale si apre una grotta collegata forse con il piano superiore.
A oriente il basamento presenta cinque arcate cieche, mentre a occidente tre ambienti a volta comunicanti degradano a seguire il banco roccioso e immettono a una rampa di scale che conduce alla terrazza.
Su quest’ultima, con direzione nord-sud, i resti del tempio corinzio esastilo pseudo periptero con tre colonne scoperte sui lati e le altre addossate al muro della cella contenente il basamento della statua della divinità.
A est della terrazza uno sperone roccioso delimitato da muratura era forse la sede dell’oracolo del dio, in comunicazione con la grotta sottostante.
A nord del tempio, sopraelevati, i resti di un portico innestato nel taglio roccioso, a fianco del quale si apriva una rampa di accesso al piano superiore.
In questo luogo di apparizioni è raccolto tutto il senso estetico -filosofico di una civiltà (la Greco-Romana), quale si manifestò attraverso il senso architettonico, oggi irrimediabilmente perduto.
Qui la natura è completata dall’architettura, elevata a potenza metafisica, a spettrale visione.
Che sarebbe questo monte senza il segno architettonico che l’uomo vi ha lasciato?
Disponetevi dunque, voi che lo visitate, con il giusto spirito, poiché entrate in un luogo di presentimenti.
E tu, viandante che passi per Terracina, sappi che stai per attraversare “La Porta degli Dei”, in prossimità del Pisco, alza pure lo sguardo senza turbamento, Giove Fanciullo ti saluta: nel territorio che ti si apre incontrerai tute le dolcezze del mondo e le sue tragedie.
Venceslao
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