La città degli “orizzonti aperti”, delle prospettive chiare, degli spazi ritrovati che nacquero sullo scorcio del ‘200, memori dell’antico ordine e in riscatto ai lunghi secoli di ripiegamento “rurale” nell’organizzazione sociale, affermarono il senso pieno di una nuova civiltà: quella delle libere città comunali.
Le piazze, le vie, le torri, le porte, le chiese, i palazzi, non furono che lo sbocco di una rivoluzione mentale alla cui base, come una pietra angolare, sta la nascita del Gotico, radice fondante non già di forme e strutture, ma di un diverso modo di pensare lo spazio e l’uomo che in esso vive.
Una capacità nuova di cogliere l’essenza del mondo e tradurla in volumi matematici, secondo l’insegnamento della metodologia modulare “ad quadratun” delle fabbriche cistercensi, le quali marchiarono in modo indelebile, non solo l’architettura italiana ed europea del momento, ma la struttura sociale stessa degli organismi cittadini.
Questi, mentre consolidarono l’ordinamento politico attraverso il quale erano rinati al principio del tardo Medio Evo (XI sec.), raggiunsero un assetto urbanistico ed architettonico in forme addirittura monumentali, con un rapporto territoriale e di controllo del sistema di comunicazione viaria che ne configura la situazione interna.
Gli statuti di molte città, ancora conservati, lo dimostrano chiaramente. Essi equivalgono a vere e proprie leggi e piani, i quali determinavano le linee d’indirizzo generali e particolari in materia di regolazione del territorio, affari istituzionali, amministrativi, giuridici, economici e di assistenza per la popolazione bisognosa.
Terracina partecipò allo straordinario rinnovamento che attraversava tutta la penisola, in modo inaudito e assoluto, rovesciando non solo il concetto radicato, che voleva, quale terra di confine, oggetto di conquista di questa o quella signoria, ma riaffermando con la forza dei nuovi ideali i diritti civili sulla città che gli erano stati ampiamente riconosciuti da Gregorio VII fin dalla seconda metà dell’XI secolo e strettamente difesi per i due secoli successivi.
L’edificio che meglio riassume ed esprime questo eccezionale momento di sviluppo delle coscienze e delle libertà terracinesi è il “Palazzo Comunale. Palazzo Venditti (metà del XIII sec.), nel quale è raccolta tutta la dimensione simbolica e rappresentativa di un “valore laico” che proclama a se stesso, affiancando l’edifico del potere civile a quello del potere religioso: Cattedrale, e ponendosi sullo stesso piano di autorità.
Non solo, ma si colloca contemporaneamente, con una decisione che tanto stupisce per il significato che assume, sulla piazza dell’antico foro romano, e in particolare sull’arco d’ingresso a ovest di esso, riappropriandosi d’un colpo della propria storia, nella quale emblematicamente si riconosce e sulla quale si fonda.
Ma non basta. Esso è edificato nella forma architettonica più moderna del momento, che influenzò totalmente l’edilizia civile e religiosa terracinese, con cui dichiara, in un grido fatto di pietra, una realtà politica e sociale avanzata, e che trova le ragioni di tale asserito diritto, nelle proprie antiche radici e tradizioni, confluenti idealmente, sullo snodo viario più imponente della città, in cui piazza, strada “Appia”, palazzo, Cattedrale, elevano a potenza la memoria del passato e la speranza dell’avvenire.
Le dimensioni, la posizione, l’eleganza dell’edificio, sono dunque il risultato di un linguaggio colto, culturalmente elevato, diffuso per di più a livello europeo, che la nuova magistratura comunale parlava, patrimonio per altro della città intera, e che subentrava a quello del potere aristocratico ed ecclesiastico. Tali favorevoli condizioni, non potevano che preludere per Terracina a quel vasto, elevato immane “Rinascimento” che traversò con impeto titanico l’Europa e tutto il mondo occidentale, segnandone e mutandone in profondità nei secoli a venire la storia e la cultura.
Ma non fu così.
Si abbatté invece su Terracina una catastrofe senza precedenti, una sorta di giudizio universale che annientò la vita e distrusse la speranza degli uomini, lasciando, unici testimoni di tutte le grandi tragedie umane, morte e desolazione.
La recrudescenza infettiva della malaria prima, ed il “Castrone” poi, a partire dalla fine del XV secolo e per tutto il successivo ed oltre, delle circa 7000 anime presenti in città, non lasciarono vivo nessuno, con i pochissimi scampati (150 persone) che fuggirono nei paesi vicini, in silenzio, come una madre pietosa, distese così il velo sul libero Comune di Terracina, che per oltre due secoli, aveva riconquistato, per mezzo dell’antico diritto romano, un nuovo ordinamento giuridico, e con esso la memoria dei padri e la loro dignità civica, tutta racchiusa nello scrigno prezioso di Palazzo Venditti.
Venceslao
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