Intorno alla metà degli anni ’60 a piazza Garibaldi e in tutta l’area del Semicircolo, dimorava una folta colonia di piccioni, che a ogni rumore fuori consuetudine spiccava il volo intorno al monumento ai Caduti terracinesi della Grande Guerra.
Sor Luigi Spinelli, per noi ragazzi dell’epoca, rappresentava una sorta di personaggio misterioso per il modo di vestirsi e di argomentare di Patria Storia: mitici i suoi pantaloni alla zuava, il cappellaccio che aveva visto tempi migliori, l’immancabile bastone che roteava con pericolosa violenza e che andava di pari passo con gli insulti che lanciava all’ex Duce del Fascismo e alla signora Petacci, rei secondo il sor Luigi d’inconcepibili immoralità.
Era un linguaggio pittoresco e anticipatore il suo, nel tempo mutuato e amplificato dai salotti buoni della televisione nazionale e presente oggi nel comune lessico dei giovani e meno giovani, di ogni estrazione sociale.
Insomma, il sor Luigi è stato per queste caratteristiche bizzarre un antesignano naif del turpiloquio che, come dicevamo, abbinato a una vestizione altrettanto stravagante, è stato capace di stratificarsi nella memoria collettiva di quanti hanno avuto il modo di entrarci in contatto, seppur occasionalmente.
In apertura abbiamo detto dei piccioni di piazza Garibaldi, che sono legati in maniera indissolubile all’episodio al quale ho assistito e che racconto di seguito.
Era un pomeriggio di metà luglio quando il Sor Luigi, più elettrizzato del solito, s’immette nella piazza sbucando dalla parte del bar Centrale e, parandosi dinanzi al monumento ai Caduti, iniziare il suo quotidiano show.
Quella volta, però, alzò tanto la voce che risveglio dal “sonno” i piccioni, che partiti in folto gruppo sopra la sua testa gli sganciarono una serie di medaglie di guano.
Accortosi dell’infausto accadimento e senza scomporsi, il Sor Spinelli si tolse il cappello e guardando il guano piccionesco esclamò sorpreso (ma non troppo): ”… E’ la fine del mondo … piove merda …”.
Si rimise il cappello e imprecando nei confronti dei soliti due, si avviò verso la cantina di Chiumera, che si trovava all’epoca in via del Fiume, per il suo solito quartino di vino bianco e rosso, sapientemente miscelati all’interno del caratteristico bicchiere in uso alla “fraschetta”.
P.S. Nella borsa dal vissuto cuoio e dalla quale non si separava mai, il Sor Luigi portava la dama italiana e cinese. Gioco di cui era un campione riconosciuto.
e.l.