Dall’altra parte la Cattedrale, simbolo estremo di una cultura culmine di una civiltà, quella comunale, in cui confluirono tutto il conoscibile medioevale: “l’Ars”, e la Teologia, la “Scientia”, il pensiero sommo di Dio, la ricerca della Sua essenza, in una sorta di interpretazione globale del mondo e sulla base di una “misura ritrovata”, o meglio, di uno spazio ritrovato, smarrito otto secoli prima e mai dimenticato.
Da questa grande e poetica nostalgia dell’antico, sfociò la rinascita di una sensibilità e di un pensiero potenzialmente plastico, carico di forza prospettica e capacità logica, fondato su una rivoluzionante concezione dello spazio contenuto e dell’uomo che in esso vive.
L’esito fu la rottura dello schema basilicare e la creazione di una struttura modulare mai conosciuta prima, composta di “isole spaziali” dialoganti, ricomprese in un esemplare sistema di coperture che faceva tutt’uno con la slanciata divisione delle pareti, l’ornato architettonico, il sistema d’illuminazione, il rapporto mirabile infine tra esterno e interno, e dove, nella scansione ritmica proprio lo spazio si fa racconto, diviene a un tempo figura immanente e trascendente.
Ma ad un profondo più profondo significato, ad un alto senso spirituale, queste architetture nacquero solo per mezzo della luce, la quale tagliò con lame colorate gli spazi, li tramò di nerissime ombre, li riempì di ritmi densi ed arcani, li attraversò di musica evocativa e primordiale.
Questa imponderabilità, questa volatilità della materia innaturale, questo dualismo dialettico tra corpo e spirito, risolto nell’identificazione spazio, luce, Dio, accoglieva il popolo medioevale dei potenti e dei diseredati, dei nobili e dei degradati, degli esseri dignitosi e degli spudorati, dei santi e dei peccatori e li sospendeva dall’umana natura tra dolcissimi salmi e soavissime e cantilenanti antifone, tra il fumo acre delle candele, l’odore della cera bruciata e le nuvole sparse d’incenso, trasportandoli nella beatitudine ultraterrena.
Le cattedrali furono il risultato di un processo straordinariamente complesso protrattosi per oltre tre secoli dopo il Mille e in cui si fusero la volontà di vita e il desiderio di Dio, la “summa” delle conoscenze umane e quelle teologiche, sul piano di una totale subordinazione alla Provvidenza di Divina, secondo il convincimento cioè che il destino dell’umanità, materiale spirituale, fosse retto e protetto da un ordine superiore che guidava la creazione e lo sviluppo della Storia.
La loro ricostruzione ripercorreva le tappe della creazione dell’ordine del caos ad opera del “grande architetto dell’universo” e Tommaso d’Aquino stesso attribuirà agli architetti che erano insieme ingegneri urbanisti, scultori, pittori e appaltatori, veri deus ex machina delle fabbriche medioevali, il nome di sapienti.
A quell’enorme e perenne cantiere che fu la cattedrale, partecipò con eccezionale fervore la città intera, attraverso l’inaudito sforzo politico, finanziario e tecnico delle sue categorie sociali: le corporazioni mercantili e quelle artigianali, i ceti militari e la moltitudine popolare, trascinati da un entusiastico movimento di crescita civile, di scambio di idee, di trasmissione culturale, che nel comune imperativo ideale, nella temeraria sperimentazione, nella sorprendente ricerca di tecniche nuove, condusse a forme monumentali inattese e sconosciute e nel contempo ad una più salda unità di valori, gli stessi che ancora reggono dopo secoli le comunità locali.
Questo impegno prodigioso e generazionale che portò a un grado superiore di complessità la logica strutturale delle cattedrali, paragonabile solo all’imponente coeva struttura logica della filosofia scolastica, trova la sua legittimazione più alta nella cerimonia di consacrazione dell’edificio, la quale segnava simbolicamente il passaggio dalla sfera profana a quella sacra.
Il vescovo e il suo seguito, accompagnato da tutti i rappresentanti della città in lunga processione ritmata da canti e inni, compiva un triplice percorso circolare, ad affermare il simbolismo trinitario, intorno e all’interno della chiesa, dove, con l’aspersione dell’acqua benedetta “lavava” il pavimento e vi tracciava segni di croce per purificare il cosmo ecclesiastico.
Rinnovando poi un gesto pagano, univa i quattro angoli della chiesa con cenere o olio, tracciando a terra una grande “X”, iniziale greca di Cristo e simbolo dell’anima del mondo.
Segnava quindi con il pastorale sui due bracci le due serie di lettere degli alfabeti latino e greco:A e Z e alpha e omega, nel senso dell’affermazione cristologica:”Io sono l’alpha e l’omega” e cioè l’inizio e la fine.
L’approvazione simbolica era così compiuta da Cristo per tramite del vescovo, il quale pronunciava solennemente le parole di S. Giacomo: ”Questa è la casa di Dio e la porta del cielo!”.
Di poi ungeva dodici volte le pareti o le colonne della chiesa in dodici punti, corrispondenti alle porte della Gerusalemme celeste, tra i canti sublimi innalzati dai cori.
La cattedrale non fu soltanto il centro direttivo della vita religiosa, ma anche centro della vita civile accanto al palazzo comunale e alla piazza pubblica.
Simbolo del vescovo e della religione fu l’orgoglio della civiltà comunale.
Rappresentò in modo soddisfacente quel risveglio delle coscienze a un nuovo ordine del mondo che andò naturalmente oltre le chiese, investendo l’organizzazione sociale stessa e “rovesciando tutto ciò che nei rapporti tra chiesa e arte, arte e comunità civile si era prodotto da Costantino in poi”.
Le città che nacquero da tali sommovimenti, le loro piazze, le vie, le torri, le città degli orizzonti aperti, dal volto cristallino e metafisico, nude e perfette come un’equazione matematica, furono lo sbocco di una rivoluzione mentale alla cui base sta la capacità di ripensare la storia, di cogliere l’essere nel mondo e tradurlo in volumi logici, in una forma “altra”, in una realtà artistica nuova. In questo incrocio assoluto tra materia e spirito, in cui l’architettura fu incaricata di palesare l’immateriale,k di rendere essenziale lo spazio, dove la luce irradiante potesse sciogliere ogni forma tangibile in penombra mistica; e la liturgia “rappresentare” il dogma di Cristo come verità in atto, realtà eterna presente nell’oggi, non dunque come simbolo o allegoria ma secondo una concezione figurale dello spirito; in questo tentativo supremo di conciliare gli opposti e consegnarli infine al fatale senso della Provvidenza divina che tutto ricomprende, si compì il pensieri del cristianesimo medioevale e della società che lo espresse.
La cattedrale fu il suo emblema, il suo crisma.
L.
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30.7.2018