Alla lunga lista dei ritrovamenti archeologici marini, spesso riaffioranti casualmente lungo la costa laziale, si è aggiunto negli ultimi anni quello di una nave romana risalente al primo secolo a.C., colata a picco a causa – probabilmente – di un fortunale a un miglio e mezzo dal porto di Terracina, mentre era intenta a trasportare materiali edilizi prodotti – probabilmente – da una delle fornaci della zona compresa tra Priverno e Fondi.
Il relitto della nave romana era stato segnalato da alcuni subacquei non professionisti già diversi mesi prima dell’ufficializzazione del suo ritrovamento, ma soltanto nel 1999 la Soprintendenza Archeologica del Lazio, in collaborazione con la Capitaneria di Porto di Terracina, il Primo Nucleo Subacqueo della Marina Militare, con l’ausilio di nave Bannock, esegue una prima esplorazione del relitto.
Il “relitto delle tegole”, com’è stato ribattezzato dagli archeologi, è ancora oggi in discreto stato di conservazione, con parte dello scafo interrato nella sabbia a protezione ultima del restante fasciame.
Il carico composto di oltre 4000 pezzi tra coppi e tegole è perfettamente conservato dopo oltre 2000 anni dal naufragio, e da una tegola riportata in superficie dai sub, si è evidenziato il marchio del proprietario dell’officina: Marcus Arrius.
L’intero carico era forse diretto a Sperlonga, dove in quel periodo l’imperatore Tiberio stava ultimando la sua splendida villa, o in ultima analisi degli esperti, servire alla costruzione di una delle tante dimore patrizie in via d’edificazione nel tratto di costa tra Terracina e Gaeta.
Ma quale visione della costa terracinese i marinai romani poterono osservare?
“Il lungomare – spiega Nicoletta Cassieri della Soprintendenza del Lazio – era probabilmente disseminato di ville romane, c’era già il Tempio di Giove e l’intera area del Foro Emiliano.
Era in ogni modo una Terracina bella ed importante, anche commercialmente parlando”.
In effetti, con la realizzazione del nuovo porto, che andò a sostituire il vecchio bacino costruito in epoca repubblicana, Terracina diventò in quel periodo un’importante città commerciale, punto d’incontro fra Roma, l’Italia Meridionale e il Mediterraneo.
Questo il ruolo che la città si era conquistata sin dall’epoca arcaica, tanto da essere menzionata alla fine del VI sec. a.C. nel primo trattato romano-cartaginese.
Anni dopo con la deduzione della colonia romana (329 a.C.) il territorio terracinese si avviò verso un processo di sfruttamento intensivo mediante la divisione in centuriae.
Si assistette così a un proliferare di villae rusticae di proprietà di nuovi coloni romani, la cui attività era costituita dalla lavorazione della vite.
Dai vitigni si otteneva un vino pregiato – il Caecubus – prodotto principalmente nell’aerea tra Terracina e Fondi.
L’entità di questo commercio vinicolo in età repubblicana è ampiamente dimostrata dall’esistenza di un’officina di anfore del I sec. a.C. scoperta nel secolo scorso in località Canneto, presso il lago di Fondi.
Anfore provenienti dall’opificio fondano con il bollo di P.Veveius Papus sono state rinvenute nel relitto di una nave oneraria romana affondata presso Giens, in Francia.
Le anfore ritrovate nel mare di Tolone documentano con certezza la vasta portata del commercio del vino terracinese in un’epoca in cui l’Italia era ancora al centro delle attività economiche del mondo romano.
Questo fervore commerciale determinò la progressiva formazione di un’agiata classe sociale in gran parte costituita dall’aristocrazia terriera, alla quale va attribuito non solo i resti delle grandi ville visibili ancora oggi intorno alla città, ma anche i monumenti religiosi e civili la cui realizzazione comportò l’investimento di notevoli capitali.
Commercianti terracinesi, appartenenti alla Gens Memmia operarono a Delo, un
Memmius Terrachinensis muore ad Efeso intorno al 100 a.C.
E poi, come ricordato, troviamo le 8000 anfore con i bolli di P.Veveius Papus, depositate sul fondo del mare di Tolone con il “bollo del primo profumiere” terracinese L. Pomponius Bithus, che costruì in città un sepolcro per se e per i suoi molteplici familiari.