Nel venerdì si ricorda la morte sulla croce di Gesù. È il giorno della Passione, della Morte e della Sepoltura del Signore Gesù Cristo, che nella Chiesa antica era chiamato “Pasqua della Croce” come l’inizio del Passaggio salvifico verso la Risurrezione. Il Venerdì Santo fa parte del Triduo Pasquale che inizia con il giovedì Santo e della Settimana Santa aperta con la domenica delle Palme, giorno che ricorda l’arrivo di Gesù a Gerusalemme circondato da una grande folla di persone mentre cavalca un puledro d’asina. Il Venerdì Santo non si celebra l’Eucaristia e tutta l’attenzione è focalizzata sulla Passione del Signore per adorare la sua croce gloriosa, via di speranza e di vittoria, acclamando Cristo Gesù, sommo ed eterno sacerdote, Agnello innocente immolato per noi, che per salvare l’umanità si è consegnato volontariamente alla morte. San Giovanni presenta la passione di Gesù come il momento della glorificazione del Figlio e la manifestazione suprema della sua dignità trascendente.
La passione di Cristo ci interroga sull’autenticità della nostra fede. Dio, per dimostrarci il Suo amore, non esitò a offrire il Suo unico Figlio affinché “Per le Sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5). I profeti descrivono il Servo del Signore nel momento in cui attua la missione di liberare il popolo dai peccati: come agnello innocente, carico dei delitti del suo popolo, si lascia condurre in silenzio al macello. E proprio dalla sua morte liberamente accettata sgorga la giustificazione “per i molti”. Scrisse San Paolo: “La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio” (1Cor 1,18).
Gesù accettò il calice della passione perché “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Dal suo fianco trafitto sgorga il sangue da cui sono segnati gli appartenenti al nuovo popolo, quelli che Dio salva (cf Es 12,7.13). Cristo crocifisso è dunque il “vero Agnello pasquale”, è lui la “nostra Pasqua” immolata (cf I Cor 5,7). Nella Croce di Cristo siamo invitati a contemplare l’ineffabile amore di Dio per noi. Solo dinanzi alla Croce possiamo toccare e scoprire l’immensità dell’amore di Dio per noi. La Croce di Cristo è il mistero della invincibile debolezza di Dio verso la sua prediletta creatura, l’uomo. Dio è invincibile nella debolezza del suo amore, il quale sulla Croce si rivela come il più vero ed unico compimento, come la più vera ed unica manifestazione di amore verso l’umanità.
La croce è il simbolo della condanna e della morte, ma è anche il simbolo della grazia e della vita, non è più il legno della sofferenza, ma l’albero dell’immortalità, non è più lo strumento dell’infamia ma il segno della gloria; non è più disperazione e sconfitta, ma è speranza e forza, “E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato” (cf I Cor. 5, 7). Perciò la santa Croce viene celebrata unitamente alla Risurrezione nel mistero della Divina Salvezza. Giovanni Damasceno insegna che “ogni azione e ogni miracolo di Cristo è divino e meraviglioso, però il più meraviglioso di tutti è la sua Croce; perché nessun‘altra cosa ha domato la morte, ha espiato la prima coppia, ha spogliato l’Ade, ha portato la risurrezione, ha donato la forza di vincere la stessa morte, ha preparato il nostro ritorno alla primiera benedizione, ha aperto la porta del paradiso, ha messo la nostra natura a sedersi alla destra di Dio e ci ha fatto suoi figli, quanto la Croce del nostro Signore Gesù Cristo” (P.G. 94, 1129).
Disse Papa Francesco: “Le parole che Gesù pronuncia durante la sua Passione trovano il loro culmine nel perdono. Gesù perdona: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Non sono soltanto parole, perché diventano un atto concreto nel perdono offerto al “buon ladrone”, che era accanto a Lui… Nell’ora della croce, la salvezza di Cristo raggiunge il suo culmine; e la sua promessa al buon ladrone rivela il compimento della sua missione: cioè salvare i peccatori. All’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazaret, Gesù aveva proclamato «la liberazione ai prigionieri» (Lc 4,18); a Gerico, nella casa del pubblico peccatore Zaccheo, aveva dichiarato che «il Figlio dell’uomo – cioè Lui – è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,9). Sulla croce, l’ultimo atto conferma il realizzarsi di questo disegno salvifico. Dall’inizio alla fine Egli si è rivelato Misericordia, si è rivelato incarnazione definitiva e irripetibile dell’amore del Padre. Gesù è davvero il volto della misericordia del Padre” (Udienza Generale del 28 settembre 2016).
La croce è il segno della speranza, del perdono dei peccati e della riconciliazione di Dio con l’umanità. Nella croce di Cristo Dio ha riconciliato il mondo a sé. In Cristo crocifisso Dio ci ha offerto il perdono “gratuitamente, per grazia” (Rom. 8, 14) “non imputando agli uomini le loro colpe” (2 Cor. 5, 19) proprio nel momento in cui gli uomini rifiutavano in modo violento la proposta di Gesù e non accoglievano l’offerta della Nuova Alleanza. La croce è uno dei simboli più importanti per i cristiani. Il valore salvifico della Croce sta nella gratuità dell’amore di Cristo “che ha amato sino alla fine” (cfr Gv. 13, 1), ed è divenuto “icona” dell’amore misericordioso del Padre. Disse il Card. Raniero Cantalamessa che Venerdì Santo, non è l’ora della denuncia, ma del perdono. Come Cristo in croce ha perdonato i suoi aguzzini: “i crocifissori di Cristo sono stati perdonati da Dio, certo, non senza essersi prima, in qualche modo, ravveduti, e sono con lui in paradiso, a testimoniare per l’eternità fin dove è stato capace di spingersi la misericordia di Dio” (venerdì santo del 3 aprile 2015).
Nella Croce di Cristo siamo stati perdonati e chiamati a perdonare agli altri. Non possiamo guardare la croce senza impegnarci in una relazione personale con Il crocifisso Signore. Egli è crocifisso per me e nel suo volto sfigurato troviamo lo sguardo che ci invita a una comunione con lui. Quanto più ci lasceremo amare da Lui, tanto più lo comprenderemo. Egli si lascerà conoscere, così che la nostra relazione con lui aumenti, fino a poter divenire sua immagine. Se lo seguiremo come discepoli, illuminati dalla luce gloriosa del suo volto, per l’azione dello Spirito Santo, porteremo in noi l’immagine dell’uomo celeste, rivestito della gloria del Figlio.
San Pietro ci insegna: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato, già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per voi” (1Pt 1,18-20).
Il Venerdì Santo ci invita dunque a scoprire la passione, l’amore e il perdono di Cristo: “il miracolo dei miracoli dell’amore di Dio” (S. Pauli a Cruce). Ci invita a comprendere che nella croce di Gesù Dio ci ha aperto il paradiso, chiuso da Adamo e Eva, ci ha restituito la nostra antica patria e ci ha aperto a tutta l’umanità la sua casa: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). “Dio dimostra il suo amore verso di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm 5,8).
La Passione del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è un pegno di gloria e un insegnamento di pazienza. Per questo la Chiesa venera la croce cantando: “O crux, ave, spes unica – Ave, o croce, unica speranza” [Inno “Vexilla Regis”] perché al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo [Santa Rosa da Lima; cf P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668].
Chi ama non fugge dalla Passione. Chi si dichiara credente non scappa dinanzi alle prove e alle sofferenze dei fratelli. La passione è dunque prova dell’amore e della fede di Dio verso di noi e di noi verso di Lui e verso i nostri fratelli.
Mons. Yoannis Lahzi Gaid, già Segreteria Particolare del Santo Padre Francesco, Presidente dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo Onlus e della Fondazione Fratellanza Umana
In Terris
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