*di Nicoletta Cassieri
Tra gli antichi centri del Lazio con continuità di vita fino ai nostri giorni, Terracina (Anxur-Tarracina) vanta un sottosuolo archeologico tuttora di straordinaria consistenza come documentano le scoperte degli ultimi decenni (strade, ville, impianti termali, horrea, domus) sia nella città «alta» sia nella città «bassa». Esse si affiancano alle testimonianze censite in maniera sistematica dal Lugli, contribuendo ad arricchire il quadro topografico antico ed evidenziando l’alto grado di benessere raggiunto dalla colonia repubblicana, dotata di un porto e situata in posizione strategica su un avancorpo dei Monti Ausoni che qui giungevano al mare, al centro di percorsi marittimi e di assi viari, tra cui la via Appia, essenziale arteria di comunicazione tra Roma, l’Italia meridionale e l’Oriente. L’afflusso di ricchezze derivanti dai traffici mediterranei e l’affermarsi dei ceti imprenditoriali determinarono già nella seconda metà del II-inizi I sec. a.C. l’avvio di una prima significativa sistemazione urbanistica del Foro (oggi Piazza Municipio) e lo scenografico rinnovamento dell’antichissimo santuario di Monte S. Angelo, uno dei grandi complessi sacri del Lazio repubblicano.
Ipotesi avanzata da Coarelli 1982, p.165sq.; Coarelli 1990, p.54-55, sulla base del bollo Cn. D
Mesolella 2012 p.64 e 354-355.
Tra di essi va ricompreso anche il Tempio a tre celle/cd. Capitolium, realizzato all’epoca del sec
CIL X, 6306 = EDR156631. Sulle fasi di ritrovamento di questo eccezionale lastricato tra il 1846 e
Indipendentemente dall’ipotizzata deduzione di una colonia triumvirale tra la fine della Repubblica e la prima età imperiale, Tarracina, come altri centri costieri del sinus Amyclanus, fu interessata da un’intensa attività edilizia, riguardante innanzitutto la ricostruzione monumentale del vecchio Foro che, ampliato attraverso un sistema di gallerie sostruttive, vide gli edifici circostanti la piazza ristrutturati o eretti ex novo (il Tempio Maggiore, il complesso del teatro-portico, la basilica, i portici e gli imponenti archi di accesso). La pavimentazione in lastre di calcare, conservata per notevole estensione, reca tuttora i solchi dell’iscrizione dedicatoria con i fori per l’alloggiamento di grandi lettere in bronzo menzionanti un Aulus Aemilius A.f., non meglio noto, probabile finanziatore dell’opera.
I modi e le forme del coinvolgimento degli illustri committenti non sono noti.
A questi progetti di riqualificazione degli spazi pubblici, che richiesero ingenti risorse finanziarie, non rimasero estranei notabili locali ed esponenti di famiglie urbane di alto rango, in parte originarie della zona, dove avevano importanti interessi economici, proprietà fondiarie e ville imponenti (in particolare gli Aemilii Lepidi e i Sulpicii Galbae). Per la pronta ricezione degli orientamenti in voga, valgano a titolo esemplificativo le strette af (…)
L’impegnativo piano edilizio e monumentale destinato a cambiare radicalmente l’aspetto della città, che ricevette speciale impulso in età augustea, con ogni evidenza fu attuato per gradi e portato a conclusione non prima della metà del I sec. d.C. L’elevata qualità degli interventi architettonici e dei programmi decorativi, oltre alla profusione di materiali di pregio precocemente utilizzati, lasciano presumere l’attività di maestranze specializzate, forse di formazione urbana o campana, esperte del nuovo linguaggio formale, che collaborarono al processo di adeguamento degli edifici ai modelli di Roma, promosso da una classe dirigente desiderosa di manifestare lealismo nei confronti del potere centrale e adesione ai valori del principato.
L’edificio teatrale viene a occupare un’ampia superficie (70×60m), tangente il tratto urbano della via Appia, sul versante settentrionale del complesso forense che rappresenta un episodio di conservazione archeologica e urbanistica di singolare rarità. Piuttosto che dalla volontà di incidere su un settore cittadino, all’epoca evidentemente non del tutto edificato, la sua ubicazione fu determinata dalle caratteristiche morfologiche del luogo, capace di accogliere l’invaso della cavea che si appoggiò, almeno in parte, al pendio naturale, consentendo in tal modo un notevole risparmio di lavoro e di forniture edilizie. Tale area costituisce quindi, a tutti gli effetti, parte integrante del cd. Foro Emiliano, fulcro della vita politica, religiosa ed economica della città che ne ha perpetuato valore e funzioni fino ai nostri giorni.
Foto con evidenziazione dei diversi settori del teatro e dell’area forense.
Aurigemma – Bianchini – De Santis 1957, p.28. Solo negli anni Sessanta fu possibile all’allora So (…)
6La conoscenza del monumento risale ad anni recenti: dopo i devastanti bombardamenti del 1943 che colpirono anche il popolare quartiere incentrato sulla piccola Piazza Urbano II, l’abbattimento delle strutture pericolanti e lo sgombero delle macerie fecero affiorare alcuni resti murari, che vennero attribuiti ipoteticamente a un edificio per spettacoli. Il progressivo abbandono dell’isolato da parte dei residenti ha determinato una situazione di stasi e di crescente degrado del tutto inusuale in un abitato di secolare vitalità, consentendo, d’altro canto, di avviare agli inizi del Duemila un piano organico di indagini archeologiche e di restauri, che hanno comportato la rimozione «stratigrafica» di fatiscenti fabbricati moderni e di diffuse superfetazioni.
Vd. riferimenti bibliografici supra.
In opera incerta sono il muraglione presente nell’ala est, i due aditus maximi, il muro di conteni (…)
Del notevole complesso formato dal teatro e dalla retrostante porticus post scaenam, sono stati riportati in luce ampi settori che consentono di tracciare, almeno nelle linee generali, le sue vicende costruttive; circa un terzo dell’edificio, tuttavia, resta al momento sconosciuto, data l’insistenza di un denso tessuto insediativo sulla parte occidentale. Dagli elementi accertati è possibile fissare intorno agli anni Settanta/Sessanta del I sec. a.C. la creazione dell’intero organismo architettonico, che, nell’aspetto pervenutoci, è il risultato di molteplici modifiche condotte su un iniziale impianto in opera incerta di calcare molto accurata, che lo pone in sensibile anticipo rispetto ad altri edifici del Foro, in prevalente opera reticolata, e lo inserisce tra i teatri più antichi del Lazio.
Un settore centrale della porticus, gli aditus maximi, porzioni del versante orientale della cavea (…)
Gli scavi, condotti in più riprese, hanno restituito finora notevoli strutture e materiali di rilevante interesse anche in rapporto alle variazioni urbanistiche collegate alla trasformazione del Foro in forme monumentali.
Del complesso sono stati accertati i limiti: a est, il poderoso muraglione in opera incerta (vd. supra n. 11); a ovest, un muro curvilineo pertinente all’emiciclo teatrale. Quest’ultimo si attesta ai resti di un asse viario basolato (via di Porta Nuova), identificabile con un diverticolo del decumano (via Anita Garibaldi), che, sulla direttrice nord-sud, conduceva direttamente all’ingresso occidentale.
Posto al di sopra di una bassa crepidine, non tutta antica, sistemata negli anni Sessanta del secolo scorso, il muraglione è comune a due ambienti distinti ma intercomunicanti: il più arretrato (B), la cd. «basilica», è da identificare con il parascaenium orientale; l’altro (L), definito dal muraglione stesso e da un colonnato antistante di cui rimangono gli alloggi per le basi, appartiene al braccio orientale della porticus post scaenam. Molto vario quanto a soluzioni planimetriche, stando alle fonti antiche (Vitr., 5, 9, 1-9) e alle evidenze archeologiche, questo spazio annesso era di solito abbellito da fontane, opere d’arte, effigi di personaggi illustri e poteva comprendere piccoli sacelli, edicole e monumenti celebrativi. La porticus di Terracina (dimensioni stimate circa 51,50×22,50m), accessibile direttamente dal decumano, si articolava su quattro lati con ambulationes disposte attorno a una corte rettangolare. È verosimile che sul lato prospiciente la piazza essa presentasse una duplice fila di colonne, una sola invece sugli altri tre.
Per lo schema disegnativo del pavimento basato sull’incrocio di fasce di marmo bianco che delimita (…)
Oggi la struttura risulta poco leggibile: nel versante ovest, infatti, è del tutto obliterata dal denso sistema abitativo compreso tra via la Palma e via di Porta Nuova, mentre la parte rimanente è stata liberata da un soprastante caseggiato solo di recente. Dell’imponente quadriportico restano, in sostanza, i due tratti del muro di fondo dei bracci est e nord scanditi inizialmente da semicolonne a fasce alternate di opera incerta di calcare e di laterizi, in seguito sostituite da paraste con basi ioniche e capitelli marmorei. Si conservano inoltre alcune basi attiche e fusti di colonne rudentate (h. max. 2 m), nonché resti della pavimentazione in lastre di bardiglio e Carrara, più volte rinnovate e rappezzate già in antico. L’importanza della costruzione è sottolineata dal pregio dei rivestimenti e degli elementi architettonici marmorei, come dimostrano, in particolare, le raffinate colonne della fronte prospiciente il foro, di un tipo finora attestato, nella stessa Roma, sempre in contesti di alto livello di inoltrata età imperiale (fine I-IIsec./età severiana).
12Del teatro in senso stretto finora sono stati portati in luce i due corridoi principali di accesso (aditus maximi) coperti da volta a botte (quello orientale a forma di L e quello occidentale, rettilineo), simmetrici ma non uguali a causa dell’orografia del terreno. Entrambi, allo sbocco nel catino teatrale, presentavano al di sopra dell’arcata il tribunal (si conserva quello orientale): questa sorta di palco sopraelevato, qui articolato in tre gradoni su cui erano sistemati i sedili per le persone di riguardo, era delimitato da parapetti lapidei, come attestano evidenti segni di lavorazione e fori di grappe per l’incasso nel rivestimento del ripiano inferiore.
Il diametro massimo ricostruito del teatro è di 61,70 m circa. La cavea era divisa in sei cunei da (…)
L’indagine dell’area è stata resa difficoltosa da una fitta rete di sottoservizi e dalle fondazioni di edifici moderni allo stato di rudere, da scantinati e ambienti sotterranei che in alcuni casi hanno raggiunto i livelli antichi. La quota dell’orchestra è risultata a 5 m di profondità dall’iniziale piano di campagna. Di questo spazio semicircolare è stato possibile indagare solo una porzione (10,40×2,75m), pavimentata in lastre di bardiglio e portasanta. Della cavea sono tornati in luce i primi due cunei a partire da est, composti, dietro a due gradoni per i posti d’onore (proedria), da 14 file di gradini messi in opera sul banco roccioso appositamente intagliato, appartenenti a due ordini di posti (ima e media cavea), raggiungibili da tre scalette radiali (scalaria), mentre due corridoi anulari di distribuzione scoperti (praecinctiones) la percorrono in senso orizzontale (fig. 4). Purtroppo la sommità della gradinata è andata perduta nella realizzazione di una cisterna, già alla fine del ‘700, e di un soprastante acciottolato stradale.
La prima praecinctio divideva i comodi sedili (bisellia) riservati alle alte cariche cittadine (magistrati, sacerdoti, decurioni) e a eventuali ospiti di rango, dalla ima cavea costituita da 5 file di gradoni destinati ai cavalieri: i numerosi fori da grappe in piombo visibili nei blocchi indicano chiaramente la presenza di un balteus di divisione dai sedili soprastanti; la seconda praecinctio si sviluppava all’altezza dei tribunalia, tra la ima cavea e la media cavea, quest’ultima composta da 9 file di gradini (6 ancora in buono stato): anche in questo caso, i segni superstiti lasciano supporre parapetti divisori in lastre di pietra. L’ordine mediano si concludeva con un corridoio anulare, coperto a volta (crypta) e provvisto di aperture, molto poco conservato; presumibilmente era preceduto da un analogo corridoio a cielo aperto. Al momento, della summa cavea non rimane alcuna traccia: tuttavia, una serie di indizi di ordine tecnico-costruttivo ne fanno presumere l’esistenza, probabilmente non prevista nel progetto iniziale, ma aggiunta in un momento successivo.
Planimetria del complesso teatro-portico, aggiornata al 2008/2009.
Il blocco, rinvenuto tra la prima scaletta radiale e il tribunal nel 2007 e rimasto finora inedito (…)
Una ricca liberta di nome Fufia Viticula è attestata dal grande titulus relativo a un edificio fun (…)
Con un gradino va appunto identificato un blocco rettangolare di calcare (lungh. 110 cm; h. 30 circa), con indicazione di tre loca: esso infatti reca incisi sulla fronte, entro tre spazi contigui distinti da linee verticali che fissavano grosso modo l’ampiezza della seduta, i nomi di altrettanti fruitori dei posti. I personaggi sono menzionati in maniera diversa: in alto a sinistra, nel primo campo, su un piano leggermente ribassato resta il gentilizio AEBVTIVS, in caso genitivo, ben attestato nel Lazio e in Campania. La parte sottostante invece appare scalpellata: ciò non stupisce considerato che, scaduto il diritto del locus, il nome veniva cancellato per far posto a un nuovo assegnatario. Al centro, il titolare è individuato solo da due lettere C.R., riferibili a elementi onomastici non identificabili. Per le dimensioni ridotte rispetto a quelle laterali è verosimile che questo locus sia stato ricavato in un secondo momento. A destra, l’iscrizione tracciata su due righe restituisce, nella parte superiore, il nome di una donna, FVFIA, indicata con il gentilizio al nominativo, già noto a Terracina; nella zona sottostante, la cifra VIII specificava, solo in questo caso, il numero del posto a sedere nell’ambito del pertinente tratto di gradinata. Nell’insieme le caratteristiche paleografiche orientano per una datazione ancora in età tardo-repubblicana. Il gradino potrebbe provenire da un punto imprecisato della media cavea, quando la distinzione di genere prevista dalla rigida legislazione augustea sulla distribuzione del pubblico a teatro (Lex Iulia theatralis) non era stata ancora introdotta.
Nel quadrante occidentale della cavea, invece, un piccolo saggio del 2004 ha permesso di riportare alla luce cinque sedili ancora in sito: essi costituiscono un confortante indizio circa la sopravvivenza delle gradinate che, su questo lato (ancora da indagare), erano probabilmente addossate a una sostruzione artificiale, come sembra suggerire il ritrovamento in prossimità dell’aditus di un tratto di muro semicircolare incassato nel suolo, riconducibile a presumibili opere di sostegno.
Nel 2017 uno di questi fusti, trovato integro nell’area dell’orchestra anche se con notevoli lesio (…)
Quanto alla costruzione scenica (36,80×8,20m), si tratta del settore che più degli altri è stato interessato da una serie di trasformazioni in nome di una maggiore funzionalità e di una progressiva nobilitazione. Oggi la scaenae frons si presenta costituita da un alto podio (h.: 1,40 m) formato da tre avancorpi in conglomerato cementizio rivestiti di lastre di travertino con cornici modanate alla base e alla sommità, sul quale poggiano alcune basi in marmo pertinenti al colonnato che si sviluppava su due ordini: quello inferiore, costituito da grandi fusti monolitici di bardiglio (h.: 4,80 m) sormontati da capitelli ionici in marmo bianco come le basi; quello superiore, invece, composto forse da colonne più piccole in marmo africano, probabilmente munite di capitelli corinzi. In corrispondenza delle colonne la parete di fondo è scandita da paraste un tempo rivestite di marmo e provviste di basi e capitelli; realizzata in opera incerta e opera reticolata che si alternano senza un criterio apparente, essa si addossa al preesistente muro di fondo in incertum del braccio settentrionale della porticus. Nel frontescena di tipo rettilineo sono state indagate due delle tre aperture canoniche, quella centrale (valva regia) e quella orientale (porta hospitalis). Il tavolato ligneo del pulpitum era sostenuto da numerosi setti murari non tutti coevi, e da una frons anch’essa rettilinea (restano tracce della primitiva orchestra sotto la frons pulpiti).
Porzione dell’edificiob scenico (scavi 2005/2007).
In estrema sintesi, va rilevato che, nell’impianto originario, la situazione si presentava del tutto diversa dal momento che orchestra, scena e porticus retrostante giacevano alla medesima quota e che solo in un secondo tempo si procedette alla creazione del podio, il quale, a vista nel primo periodo, venne poi nascosto agli spettatori da un pulpitum rialzato.
Soltanto con la fase di piena monumentalizzazione, la terza, si raggiunse l’assetto definitivo che sostanzialmente ci è pervenuto. La radicale ristrutturazione del complesso, con cospicue modifiche nella planimetria e nei volumi, riguardò poi anche l’aspetto formale, con l’adozione di aggiornati sistemi decorativi e materiali ricercati e il potenziamento delle strutture dal punto di vista tecnico e funzionale, quali l’apprestamento dei meccanismi per la movimentazione del sipario.
Sotto il profilo cronologico, in base alle odierne conoscenze, è possibile individuare nel monumento almeno quattro fasi:
Un impianto iniziale (scarsamente conservato) della prima metà del I sec. a.C., che si caratterizzava per i volumi semplici ed essenziali e l’uso diffuso di calcare locale per gli elementi architettonici e i piani pavimentali (lastre nell’orchestra e mosaici «a stuoia» con tessere oblunghe abbinate nell’ambulacro est della porticus).
Una seconda fase, tra la metà del I sec. a.C. e l’età augustea, che vide mutamenti significativi nell’edificio scenico, con la costruzione del podio seppure ancora non completamente strutturato. È probabile che il frontescena si presentasse decorato con coppie di colonne disposte semplicemente su un unico ordine a inquadrare le tre aperture. Si può altresì ritenere che solo a questo punto sia stata definita l’articolazione architettonica della cavea nei suoi diversi settori.
Devo queste osservazioni a D. Nepi, che nella sua tesi di specializzazione (2011-2012), relatore C (…)
Una terza fase di rinnovamento e nobilitazione del teatro mediante una serie di interventi costruttivi inerenti soprattutto all’edificio della scena e la sua ornamentazione, può risalire all’età augustea, con il completamento di alcune parti ancora nel primo periodo giulio-claudio. Marmi pregiati di importazione presero allora il posto del modesto calcare nelle membrature architettoniche e nei rivestimenti parietali; costose lastre colorate sostituirono il sobrio mosaico bianco. Si inquadra in questa fase il raddoppiamento del muro di fondo della frons scaenae ai fini della sua sopraelevazione, eseguito in opera reticolata e incerta utilizzate in contemporanea. In concomitanza con la probabile realizzazione della summa cavea, si aggiunsero ulteriori colonne sul podio e un secondo ordine superiore. Inoltre fu rialzato di 1,50 m il livello del pulpitum, che venne raccordato all’orchestra tramite una scaletta posta al centro del proscaenium: la creazione del muro frontale in opera reticolata rivestita di marmo (lungh. Max 29,50 m), conforme per altezza (5 piedi) ai precetti vitruviani, segna un diverso piano di spiccato del frontescena visto che la nuova sistemazione va a inglobare il podio fino alla cornice superiore. Alla base del muro, sul lato interno, si conservano alcuni dei pozzetti della fossa iposcenica che dovevano ospitare i pali lignei del sipario in posizione di riposo19. Il funzionamento dell’auleum era assicurato da efficienti meccanismi installati in due camere di manovra identificate sul fianco orientale della scena. Ai suddetti interventi si collegano anche la chiusura di un passaggio arcuato che affiancava l’ingresso principale al parascaenium orientale (B) e la riorganizzazione dello spazio circostante, stabilendo nuovi rapporti funzionali tra le varie parti dell’edificio. In particolare si ascrive a questo ambito la rettifica del vano B, finalizzata alla copertura con una volta a padiglione decorata a motivi geometrici e alla sua sopraelevazione mediante, murature caratterizzate anche qui dalla disinvolta compresenza di opera incerta e opera reticolata, in stretta relazione all’innalzamento del frontescena.
Vano B, porzione di soffitto dipinto a fondo nero, ricomposta da minuti frammenti. 35-45 d.C.
Aurigemma – Bianchini – De Santis 1957, p.15; si veda per esempio l’impianto termale presso l’are (…)
Una quarta fase è da ricondurre a non prima dell’età dei Severi (fine II-primi decenni III sec. d.C.), che a Terracina si traduce in un periodo di particolare vitalità edilizia documentata da restauri e nuove opere soprattutto nella città «bassa». Nei decenni successivi si provvide piuttosto alla riparazione e al ripristino funzionale degli edifici, sovente con materiali di recupero: nel teatro, un reimpiego è evidente, per esempio, nella sistemazione del prospetto del pulpitum, dove porzioni di cornici vennero a integrare la modanatura di base e almeno quattro lastre iscritte, o parti di esse, messe in opera al rovescio, lo rivestirono per un tratto: la loro scomparsa ha lasciato nella malta di allettamento le impronte «in negativo» di resti di tituli, in corso di studio. Meno chiari sotto l’aspetto cronologico sono alcuni interventi di epoca tarda eseguiti nel momento della dismissione del teatro in quanto tale (es. vasche in cocciopesto e ambienti di dubbia natura, sulla summa cavea).
Nello scavo del catino teatrale, effettuato negli anni 2005-2007, i ritrovamenti più significativi si sono verificati nella fascia compresa tra il podio e l’orchestra dove, quasi a contatto col piano di calpestio antico, un alto strato di terra scura con vistose tracce di bruciato e crollo, presente in maniera costante nelle limitate aree indagate, ha restituito sculture, frammenti di epigrafi e di manufatti marmorei, che non è escluso fossero stati qui accumulati nell’ambito di un cantiere di spoglio dell’edificio antico. Nei livelli inferiori di questo strato frammenti di ceramica sigillata africana D (V-VI secolo) sembrano fornire indizi cronologici circa la definitiva defunzionalizzazione dell’edificio teatrale.
La scultura, complessivamente alta 2,40 m, dopo un impegnativo intervento di restauro conclusosi n (…) Schneider 1986.
Schneider 1986, p.201-202; Lipps 2016, p.231-237.
Tra i numerosi materiali merita di essere qui segnalata una monumentale statua di barbaro «Orientale», rinvenuta in tre grossi frammenti in prossimità della frons scaenae. Ricavata da due blocchi di giallo antico, doveva avere le parti scoperte (volto e mani), non conservate, in marmo bianco. La figura, gravitante sulla gamba destra, ha il braccio corrispondente flesso e levato in alto; il sinistro, staccatosi di netto all’attacco della spalla e al momento mancante, era verosimilmente abbassato. Vestito nel caratteristico costume variopinto (brache, tunica, mantello, copricapo frigio), il personaggio si addossa a un pilastro che ne specifica la funzione di telamone. La scultura rientra tipologicamente nel gruppo di barbari «Orientali», eretti o inginocchiati in atteggiamento di sostegno, che, nell’età augustea, vennero collocati in importanti contesti pubblici, quali la Basilica Emilia, dove una folta schiera di questi personaggi aveva il compito di esaltare la «vittoria» di Augusto sui Parti nel 20 a.C., celebrando, nel contempo, il potere e la supremazia di Roma. La scultura è databile nell’ambito della prima metà del I sec. d.C. e mostra stringenti confronti con il noto esemplare già della collezione Mattei (Roma, Palazzo Altemps). Non si possiedono al momento dati sufficienti sulla collocazione originaria: è possibile che, insieme a una seconda statua, testimoniata finora da un avambraccio e dalla terminazione di un berretto a punta, facesse parte della decorazione del frontescena, oppure della porticus retrostante.
– Statua di «barbaro» orientale, in giallo antico, dopo il restauro (ex Museo Civico Pio Capponi).
Cassieri 2016, p.42-44 segnala come confronto immediato, per contesto di ritrovamento, tipologia (…)
Cassieri 2016, p.43-44.
Accostato al muro del pulpitum è stato rinvenuto nel 2007 un altare parallelepipedo (h.1m circa) in marmo, al momento nei depositi comunali; sui lati sono rappresentati gli oggetti rituali del sacrificium, mentre sul retro è un albero di alloro fiancheggiato da due cigni, che riconduce al simbolismo di Apollo traslato in quello di Augusto e della sua dinastia. Sulla fronte è incisa la dedica IOVI AXVRI / SACRVM (fig.8), di particolare interesse in quanto rappresenta la prima attestazione epigrafica certa del culto di Giove Axur/Anxur/Axurus a Tarracina, oltre che del culto medesimo nell’ambito dell’edificio teatrale. La tipologia del manufatto, i motivi decorativi e le caratteristiche paleografiche del testo indicano una datazione nel I sec. d.C. Qualora la sua posizione non sia quella originaria, si deve presumere l’esistenza di un piccolo sacello (o di una semplice edicola) dedicato al dio, all’interno del complesso monumentale.
– Ara con dedica a Iuppiter Axur, rinvenuta accostata alla frons pulpiti.
Tra le acquisizioni che meritano speciale attenzione figura soprattutto l’iscrizione incisa su una spessa lastra di marmo bianco, rinvenuta nello strato di riempimento sopra menzionato, fratta in numerosi frammenti contigui, che permettono di ricomporre quasi per intero il supporto originario (21,6×77,1×3,8cm); il testo, delimitato da cornice modanata formata da listello e gola rovescia, è mutilo in basso a sinistra e soprattutto a destra. Le lettere presentano un bel modulo quadrato, con larghe graffie alle estremità dei tratti (h.: 4,5-3,1cm); una qualche influenza della scrittura actuaria si osserva nelle T, il cui tratto orizzontale ha andamento svolazzante (rr.2,3); i segni di interpunzione sono di forma triangolare, usati in maniera regolare; almeno una lettera è montante (T di r.3); il retro è lavorato a scalpello, tranne che lungo i margini superiore e inferiore dove si è fatto ricorso alla gradina. Si conserva nei depositi comunali (Inv.SAL153365 [2016]).
*NICOLETTA CASSIERI, direttore archeologo presso la Soprintendenza per i Beni archeologici del Lazio, è responsabile di un’ampia zona del Lazio meridionale dove svolge attività di ricerca, tutela e valorizzazione. Tra le numerose pubblicazioni al suo attivo si ricordano gli studi sul teatro romano di Terracina, sul sito di Tres Tabernae lungo la via Appia presso Cisterna di Latina e sul santuario arcaico di Tratturo Caniò presso Sezze. Per molti anni ha diretto il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga, di cui ha curato l’edizione degli scavi e delle collezioni; è attualmente direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Formia e autrice della relativa guida archeologica di imminente pubblicazione.
Mai sentita nominare nel corso dell’evento dell’11 novembre scorso.
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